VIAGGIO NELLA
NOTTE |
Viaggio nella notte di San Giovanni (Alle
origini dell'assistenza e delle cure infermieristiche) | |
Forse... Forse la prima, non rituale, osservazione di questa nota (che non
introduce ne commenta un tema sul quale non ho
una competenza specifica, ma che semplicemente
reagisce » alla lettura di un testo « diverso ») deve riguardare il perché parole di un
medico-maschio si aggiungono ad una voce narrante femminile di
infermiera. La risposta più ovvia è il fatto che la voce narrante me lo ha
chiesto; per ragioni di amicizia antica, con radici negli anni in cui
questa ricerca veniva condotta, e nelle quali i motivi di conoscenza non
avevano nulla a che fare con i temi trattati. Ci si era incontrati su
percorsi più vicini a quelli ricordati nelle citazioni che aprono
l'introduzione. Era il tempo in cui, dall'Africa all'America Latina al Sud-Est Asiatico, si raccontava in tempo reale,
cercando di costruir-la-immaginarla, la storia
della liberazione di popoli (1). Ma era anche il tempo in cui in Italia si
svolgeva quel grande progetto di ricerca collettiva che aveva come soggetti-protagonisti le donne, i matti, i
sindacati, gli operatori sanitari, i
lavoratori, per la definizione delle
condizioni di liberazione della vita quotidiana dai rischi della
discriminazione, dell'emarginazione, dell'insicurezza sociale. Anni dello
statuto dei lavoratori, della riforma psichiatrica prima e sanitaria poi,
del referendum sul divorzio e sull'interruzione volontaria di
gravidanza. Forse è proprio in questa storia (che sembra oggi tanto antica) che si ritrovano le radici delle riflessioni su un libro inattuale come questo che pretende di ritrovare fili di continuità con il presente attraverso un « viaggio nella notte di S. Giovanni ». In questa logica, la riflessione di uno che appartiene all'altra parte della storia, quella del potere medico-maschile può (e ancora una volta il « forse » è d'obbligo) avere un poco di senso. Con un'intima giustificazione per
questa incursione, piena di approssimazioni, in un territorio come quello
delineato in queste pagine; pochi anni dopo questa ricerca, iniziava in
Italia un progetto molto timido, che pretendeva di ricondurre nel mondo
infermieristico le grandi tematiche di liberazione sopra ricordate, per verificarne le « adottabilità » nel quotidiano del lavoro
assistenziale: La Rivista dell'Infermiere è stata da allora per me una
scuola permanente nella quale ho imparato a guardare ed a riconoscere
nella identità e nella pratica delle/del infermiere/i le radici e le
ragioni della loro dipen-denza-marginalità
istituzionale, e le vie percorribili di una
loro auto-nomia-creatività. Quanto segue è probabilmente anche il prodotto di questa scuola
condivisa con donne infermiere. È probabile che... 1. La tesi che percorre questo libro può essere così
riassunta: a) la storia che ha senso è quella che, per i canali più
diversi, cerca di non violare, o di riparare, o di ritrovare, o di
immaginare, o di rivendicare il « rito della vita »; b) le storie ufficiali celebrano, ricercano,
impongono i riti del potere, dell'obbedienza,
della uniformità; e) le esigenze, le incertezze, l'allegria ed il
dolore, la festa ed il lutto del rito della vita si incontrano nell'altra
faccia della medaglia della storia ufficiale, dove si concentrano gli
abbandonati, gli esclusi, i feriti dai riti del potere; d) prendersi carico del rito della vita, non come
affermazione di principio o dichiarazione culturale, ma nell'ambiguità e debolezze del suo quotidiano, mette
a rischio di essere considerati eretici, oppositori, attentatori dei
celebranti dei riti del potere, che non vogliono riconoscersi responsabili, ne partecipi delle loro vittime; e) la medicina si è sempre trovata alle frontiere tra le esigenze e
le richieste del rito della vita da una parte e dei riti del potere
dall'altra; f) non c'è dubbio che la
storia ufficiale della medicina abbia finito
per divenire alleata dei secondi assumendone le regole
di comportamento e le priorità, accettando di smussarne le durezze con
l'assistenza e la misericordia, ma senza contestarne mai la supremazia e
la legittimità; g) forse è necessario ricordarsi la storia che si è svolta nell'altra
faccia della medaglia (in un pezzo del mondo delle donne) per ritrovare il senso e la originalità di una
medicina al servizio del rito della vita della gente di tutti i
giorni; h) è forse qui che si ritrovano le radici
dell'originalità e del senso di un lavoro infermieristico (da sempre
identificato come « femminile », fino alle evoluzioni molto recenti di
lavoro aperto anche agli uomini); i) questo ritrovamento è rischioso: affaccia al mondo delle
streghe, dell'eresia e dell'Inquisizione; anche se fa incontrare (ma solo
alla fine di questa lunga storia) coloro che, nel quotidiano della loro
resistenza di « gente del popolo », hanno tessuto la trama della
liberazione politica e sociale in quella stessa terra dove si era svolta
la storia delle donne-infermiere-streghe. 2. Sarebbe interessante leggere la storia ufficiale dell'origine
contemporanea della professione infermieristica, nel cuore di una delle tante guerre celebrate
da riti del potere, come una versione « moderna » di queste radici di
eresia di cui ha bisogno il rito della vita per riaffermare la diversità
delle sue esigenze. La diversità femminile si ripresenta come protagonista
indicando il non-senso non solo di ciò che
produce morte, ma soprattutto del dichiarare legittimo (perché la guerra è
uno dei riti del potere) quel male e quelle morti, proprio
mentre si sviluppa (siamo in pieno
XIX secolo) la razionalità della medicina scientifica che
dichiara di voler liberare l'uomo dal male. Ripensare, al di là dell'immagine commercializzata e idealizzata
della Nightingale, alla professione
infermieristica come espressione di eresia radicale rispetto ai valori del
potere non è forse indifferente. Esattamente come ripensare alle donne che nella storia sono state
isolate-esaltate-idealizzate nella loro
diversità (della fuga di Chiara verso la diversità di Francesco, alla
Caterina Fieschi ricordata nel libro), non
come alternativa, ma come espressione complementare delle streghe, che dal
loro sabba e dalle notti di San Giovanni irridevano la pretesa di
controllo, obbedienza, ordine che si
pretendeva loro di imporre. 3. Fa parte delle leggi di una storia raccontata dalla parte del
potere, cancellare via via le radici e dichiarare che è vero solo ciò che
vince.
La storia di oggi, raccontata a livello globale,
ne è una conferma. La festa di un popolo liberato - che sia Haiti, o l'Angola, o il Nicaragua, o El Salvador o
l'Eritrea - è vista come una « notte di San Giovanni », da concludere
presto, per evitare che le streghe che 4. Nel timido progetto della Rdl sopra
ricordato l'osservatorio intemazionale ha continuato, lungo tutti questi
anni, la cronaca del mondo, nella convinzione che le radici
infermieristiche, al di là delle tecniche che si apprendono e dei ruoli
che si perfezionano e delle identità che si definiscono, non possono
essere separate da questo contatto « eretico » con l'altra faccia della
storia. Per resistere, in
modo non passivo, alla banalità della routine assistenziale è forse
necessario sapere di essere parte di un processo di « liberazione del male
» che non inizia e termina nell'una e nell'altra corsia. Ci sono persone che vedono le cose così come sono, e arrivano a dire,
perché? Io sogno cose che non sono esistite, e dico perché no?
1. Il lungo titolo di questa parte della
riflessione traduce dallo spagnolo un augurio di Pentecoste (nella
tradizione cristiana, festa di un vento-fuoco-spirito che irrompe nella vita della
gente per farne C'entra qualcosa questo augurio con la proposta di percorso alle
radici della professione infermieristica? 2. Dieci anni fa, una donna-india, vestita di tutti i colori della
storia del suo Paese, il Guatemala, raccontava al Tribunale dei Popoli il
modo con cui tutta la sua famiglia era stata torturata, bruciata, uccisa
dai soldati del suo Paese: senza nessun altra ragione se non per il fatto
di essere indios, gente della terra e dei riti
antichi della vita. Il racconto era quello di un sabba di terrore: uno dei
tanti successi realmente nella storia dell'America Latina. La sua storia
era il suo modo di essere infermiera dei suoi familiari: ne custodiva-acca-rezzava-tramandava la memoria, per
dichiarare illegittimo il sabba reale - non condannato da nessun cultore
dei riti del potere - che li aveva uccisi. Lei, donna, chiedeva alla
memoria del mondo di non dimenticare, di inventare una « notte di San
Giovanni » dove il lutto si potesse trasformare in festa. L'anno scorso Rigoberta Menchù - la donna-madre-sorella-cu-stode della memoria della
sua gente - ha ricevuto il premio Nobel della pace, in nome dei bruciati,
torturati, scomparsi nei 500 anni di una conquista che non è stata solo
dell'America, ma della vita della gente.
Associazione di idee e di immagini troppo alta e pretenziosa per
una riflessione sulle radici della professione infermieristica?
3. Dieci anni fa, confusa tra un gruppo di campesinos in fuga, veniva uccisa in El Salvador Marianella Garcia Villas. Per anni, finché le era stato permesso,
aveva usato la sua professione di avvocato per andare a scoprire,
identificare, registrare tutti i cadaveri degli ammazzati dai militari e
paramilitari del suo governo. Gli stessi che avrebbero ucciso il vescovo
Romero. E più tardi i gesuiti. E nel frattempo le centinaia di donne e
bambini di El Mozote. Rito della morte,
denunciato e conosciuto da tutti, ma negato dai custodi dei riti del
potere e dell'ordine. Era lei, la « infermiera » che ridava una identità e una
presenza ai morti buttati nelle fosse comuni, o mutilati per disprezzo nel
volto e nei genitali, la donna strana-strega.
E quando fu uccisa - era ritornata clandestina per verificare e confermare
le voci che dicevano che si erano fatti « passi avanti » nella tecnica
dell'uccisione, e si bruciavano i
guerriglieri, gli eretici o i civili-poveri,
con il napalm - era di nuovo lei la strega,
che aveva rivelato la sua identità al di là della sua veste estema di
avvocato dei diritti umani facendosi guerrigliera, cioè fuorilegge. Oggi El Salvador è in fase di « transizione democratica
». Tutti i morti recensiti da Marianella sono
parte del rapporto ufficiale delle Nazioni Unite che incrimina militari e
giudici, anche se questi si sono dichiarati « impunibili » (non : non-colpevoli, anzi: pienamente colpevoli, e
perciò impunibili). Destino eterno questo degli « infermieri della vita », quello di
essere profeti, cioè perdenti in nome di una verità di futuro? 4. Quasi dieci anni fa, nel 1984, a Bhopai, in India, una fabbrica di una
multinazionale americana lasciava uscire, « in un incidente », una
quantità di gas tossico che uccise « alcune migliaia » di persone (non
sono mai precisi i conti dei morti poveri: non sane conosce neppure il numero dei vivi) e ne
invalidava alcune altre migliaia. A tut-t'oggi
(lo ha documentato nel dettaglio una Sessione Internazionale del Tribunale
dei Popoli, ed è stato ricordato recentemente anche da Lancet) nessuna di quelle
vittime è stata neppure rimborsata (e nel frattempo sono morte bruciate,
in Thailandia, bambine-lavoratrici, alcune
centinaia, che costruivano bambole per l'esportazione in una fabbrica
senza uscita di sicurezza). Sul bordo del quartiere delle vittime di
Bhopai è stata costruita, subito all'indomani
della strage-incidente, una grande statua di pietra bianca: scolpita da
una donna olandese, figlia di morti nei campi tedeschi della seconda
guerra mondiale, dopo aver vissuto un mese con le donne sopravvissute di
Bhopai, discutendo con loro come esprimere la
resistenza al rito di morte del potere industriale ed economico, e
cercando con loro, bozzetto dopo bozzetto, la forma da dare alla statua
della memoria e del futuro. Ne è venuta una grande figura di donna-madre, che custodisce in braccio una
bambina: ed entrambe custodiscono-difendo-non-proclamano il diritto di
quella gente ad esserci, a « contare », anche
se nessuna autorità dice di saperne il numero. Monumento ideale per la professione di donna-infermiera per i tempi moderni, all'incrocio di una « compassione » che non può non essere di lucidità politica, e di rivolta-resistenza, perché la morte e le malattie delle maggioranze passano solo marginalmente per le pratiche mediche e le tecniche infermieristiche?
... questa post-fazione è
pertinente con la tesi e la ricerca del libro; e ancor di più, se il quadro di riferimento che è
venuto via via crescendo reagendo alla lettura è pertinente per i lettori
del libro; e, ancor più profondamente, se è
lecito od appropriato, porre la professione infermieristica, così ben
installata nelle istituzioni, e avviata a riconoscimenti « universitari »,
in un contesto di streghe e di eresie, di morti ammazzati e di donne rare
ed improbabili. Oggi non è più tempo di sabba e di streghe. Certo non in questa
Italia. E non ci sono più roghi, specie per la professione
infermieristica. Eppure chi sa se... ... non è interessante pensare che sia oggi, come
sempre, il tempo che ha bisogno, mentre tutto tende a « normalizzarsi »,
di eresie creative, di persone che ritornano periodicamente in una « notte di San Giovanni »
per ritrovare in una festa liberatoria la voglia di immaginare modi di
guardare e agire capaci di inventare cammini atti a ridare centralità al
rito della vita nel cuore della gestione dei man-sionari. Chi sa se... ... queste immaginazioni che mi vengono alla mente
sono riconoscibili da infermiere-infermieri
che hanno radici nella società di oggi. Sarebbe bello... 1. Immaginare la professione infermieristica (in tutte le sue
accezioni ed espressioni, mentre l'assistenza è divenuta mercato del la-voro, esteso e parte integrante della società e
della medicina: siamo proprio agli antipodi
delle lunghe storie raccontate dal libro), come il luogo e lo strumento
per una nuova dialettica con la società e la medicina. Se infatti sono
crollati steccati e pregiudizi (di tutti i tipi, sul corpo e sul sesso e
le relative discriminazioni) sono rimaste sostanzialmente intatte le
direzioni e le implicazioni del potere, quello istituzionale e quello concettuale-intellettuale. Ci sono sempre, e più
numerosi, i poveri-malati-emarginati, anche se
« in paesi lontani ». Ma la Comunità Europea sente il bisogno di erigere
barriere al loro arrivo. E la storia della ex-Jugoslavia è alle porte.
Immaginare infermiere ed infermieri - donne e
uomini " che si riconoscono, sulla base dello
stesso lavoro, « popolazione sperimentale »: e
l'esperimento è il più grande che ci si possa immaginare: documentare -
far vedere e sentire, ai singoli e alla società - che se neppure di fronte
al « rito della vita » (e ai suoi momenti alti, di festa e di
lutto, del nascere, del soffrire, dell'essere diversi e del morire) si
rompono i « riti del potere », non c'è speranza di democrazia sostanziale,
cioè di senso nella vita. 2. Inventare allora una immagine della professione infermieristica,
che non sia la propaganda di un mestiere più o meno bene o mal pagato
(secondo i mercati privati o pubblici), o di un lavoro che cerca di essere
attraente al di là della opacità delle mansioni « corporali » che richiede, ma che presenti il
nursing come l'incontro con una delle domande di fondo sul modo
di essere nel mondo; non perché si incontra la sofferenza (con tutti i
suoi echi, più o meno solidali o compassionevoli), ma perché ci si trova
all'incrocio di tutte le domande (le
contraddizioni e le possibilità) di cui si è parlato finora. È evidente
che ciò comporta due cose complementari ed entrambe sostanziali: a) pensare ad un curriculum formativo
dove ci si forma anche a fare l'infermiera/e, ma si da una importanza di fondo all'incrocio con le
problematiche generali della sanità, intesa come « indicatore »
privilegiato dei modi con cui la società (al Nord e Sud del mondo) sceglie
tra « rito della vita » e « rito del potere ». Ci sono scuole disponibili
a questa sperimentazione, che sicuramente sarebbe anche più
produttiva per la formazione tecnica? b) avere infermiere/i - individui, gruppi, movimento
- che si preoccupano, come parte centrale e non marginale della
professione, di produrre una cultura del « nursing della vita » (con tutte
le implicazioni politiche e culturali) leggibile e visibile da parte della
società. Il mondo infermieristico è un mondo
di silenzio, della esecuzione, delle mansioni, con aggiustamenti marginali
nelle modalità di gestione del lavoro. Non « si vede » nei dibattiti sulla
sanità, sulla cooperazione, sul ruolo della scienza rispetto
all'assistenza. Non è possibile ritrovare la forza-capacità di « eresia intellettuale ed
istituzionale » che è stata alle origini della professione, con forme oggi
appropriate, scrivendo, agendo, intervenendo, ricercando, nei tanti luoghi
critici che si occupano, coscienti di essere non solo « forza-lavoro », ma protagonisti di uno dei nodi
del vivere sociale? Fa parte della logica del libro che ha provocato queste riflessioni concentrarsi via via dal generale al particolare: sembra esserci una sproporzione tra i temi globali della prima parte, e la micro-storia di un territorio, passando per sguardi rapidi su momenti complessi della macro-storia. E non c'è dubbio che si potrebbero fare tante osservazioni sulla non-completezza o discontinuità di tanti passaggi.
Ma
il metodo (ricordato dalla citazione iniziale di Braudel) rimane. E rimane la sua lezione per
questo ultimo paragrafo sul « sarebbe bello... ». Le prospettive delineate nei primi due punti possono sembrare irrealistiche, o peggio, pretenziose. Sarebbero,
o rimarrebbero tali (e in questo caso sarebbero un'ulteriore occasione di
delusione-frustazioni) se non fossero pensate
come proposte che si sperimentano nel concreto di situazioni limitate,
concrete. Una, due, qualche scuola -uno, due, tanti luoghi di lavoro. Là
dove si conoscono le persone e le realtà specifiche dove si esprimono le
contraddizioni e le potenzialità della dialettica tra senso della vita e
intrecci dei poteri. I campi sono tanti: c'è solo l'imbarazzo della
scelta. Ci sono gli anziani, per i quali non esiste un pensiero creativo,
infermieristico, ne negli ospedali, ne sul territorio (mentre cresce la
geriatria). C'è l'organizzazione del lavoro e
dell'uso delle risorse umane (mentre cresce il managerialismo aziendale). C'è la quotidianità
della gestione del dolore e dello « star male », al di là della malattia
(mentre crescono gli specialismi sulla qualità
della vita). C'è... Ognuno, da sola/o o come gruppi
può identificare la micro-storia sua e della sua professione. Ritornare alle radici, anche per percorsi « strani » come quello di
questo libro, ha il senso del potare vigne e roseti, perché continui,
nuovo, il rito del servizio alla vita.
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Musica: Some one saved my life tonight, by Elton J. Pagina pubblicata il 01/01/01
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