VIAGGIO NELLA NOTTE 
DI SAN GIOVANNI
M. Siccardi

Viaggio nella notte di San Giovanni (Alle origini dell'assistenza e delle cure infermieristiche) 
 
CISO (Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospitaliera, Reggio Emilia). 1978; 
Rosini FI, 1993.  

 

Forse...

Forse la prima, non rituale, osservazione di questa nota (che non introduce ne commenta un tema sul quale non ho una competenza specifica, ma che semplicemente reagisce » alla lettura di un testo « diverso ») deve riguardare il perché parole di un medico-maschio si aggiungono ad una voce narrante femminile di infermiera.

La risposta più ovvia è il fatto che la voce narrante me lo ha chiesto; per ragioni di amicizia antica, con radici negli anni in cui questa ricerca veniva condotta, e nelle quali i motivi di conoscenza non avevano nulla a che fare con i temi trattati. Ci si era incontrati su percorsi più vicini a quelli ricordati nelle citazioni che aprono l'introduzione. Era il tempo in cui, dall'Africa all'America Latina al Sud-Est Asiatico, si raccontava in tempo reale, cercando di costruir-la-immaginarla, la storia della liberazione di popoli (1). Ma era anche il tempo in cui in Italia si svolgeva quel grande progetto di ricerca collettiva che aveva come soggetti-protagonisti le donne, i matti, i sindacati, gli operatori sanitari, i lavoratori, per la definizione delle condizioni di liberazione della vita quotidiana dai rischi della discriminazione, dell'emarginazione, dell'insicurezza sociale. Anni dello statuto dei lavoratori, della riforma psichiatrica prima e sanitaria poi, del referendum sul divorzio e sull'interruzione volontaria di gravidanza.

Forse è proprio in questa storia (che sembra oggi tanto antica) che si ritrovano le radici delle riflessioni su un libro inattuale come questo che pretende di ritrovare fili di continuità con il presente attraverso un « viaggio nella notte di S. Giovanni ». In questa logica, la riflessione di uno che appartiene all'altra parte della storia, quella del potere medico-maschile può (e ancora una volta il « forse » è d'obbligo) avere un poco di senso.

Con un'intima giustificazione per questa incursione, piena di approssimazioni, in un territorio come quello delineato in queste pagine; pochi anni dopo questa ricerca, iniziava in Italia un progetto molto timido, che pretendeva di ricondurre nel mondo infermieristico le grandi tematiche di liberazione sopra ricordate, per verificarne le « adottabilità » nel quotidiano del lavoro assistenziale: La Rivista dell'Infermiere è stata da allora per me una scuola permanente nella quale ho imparato a guardare ed a riconoscere nella identità e nella pratica delle/del infermiere/i le radici e le ragioni della loro dipen-denza-marginalità istituzionale, e le vie percorribili di una loro auto-nomia-creatività.

Quanto segue è probabilmente anche il prodotto di questa scuola condivisa con donne infermiere.

È probabile che...

1. La tesi che percorre questo libro può essere così riassunta: a) la storia che ha senso è quella che, per i canali più diversi, cerca di non violare, o di riparare, o di ritrovare, o di immaginare, o di rivendicare il « rito della vita »;

b) le storie ufficiali celebrano, ricercano, impongono i riti del potere, dell'obbedienza, della uniformità;

e) le esigenze, le incertezze, l'allegria ed il dolore, la festa ed il lutto del rito della vita si incontrano nell'altra faccia della medaglia della storia ufficiale, dove si concentrano gli abbandonati, gli esclusi, i feriti dai riti del potere;

d) prendersi carico del rito della vita, non come affermazione di principio o dichiarazione culturale, ma nell'ambiguità e debolezze del suo quotidiano, mette a rischio di essere considerati eretici, oppositori, attentatori dei celebranti dei riti del potere, che non vogliono riconoscersi responsabili, ne partecipi delle loro vittime;

e) la medicina si è sempre trovata alle frontiere tra le esigenze e le richieste del rito della vita da una parte e dei riti del potere dall'altra;

         f) non c'è dubbio che la storia ufficiale della medicina abbia finito per    divenire alleata dei secondi assumendone le regole di comportamento e le priorità, accettando di smussarne le durezze con l'assistenza e la misericordia, ma senza contestarne mai la supremazia e la legittimità;

        g) forse è necessario ricordarsi la storia che si è svolta nell'altra faccia della medaglia (in un pezzo del mondo delle donne) per ritrovare il senso e la originalità di una medicina al servizio del rito della vita della gente di tutti i giorni;

h) è forse qui che si ritrovano le radici dell'originalità e del senso di un lavoro infermieristico (da sempre identificato come « femminile », fino alle evoluzioni molto recenti di lavoro aperto anche agli uomini);

i) questo ritrovamento è rischioso: affaccia al mondo delle streghe, dell'eresia e dell'Inquisizione; anche se fa incontrare (ma solo alla fine di questa lunga storia) coloro che, nel quotidiano della loro resistenza di « gente del popolo », hanno tessuto la trama della liberazione politica e sociale in quella stessa terra dove si era svolta la storia delle donne-infermiere-streghe.

2. Sarebbe interessante leggere la storia ufficiale dell'origine contemporanea della professione infermieristica, nel cuore di una delle tante guerre celebrate da riti del potere, come una versione « moderna » di queste radici di eresia di cui ha bisogno il rito della vita per riaffermare la diversità delle sue esigenze. La diversità femminile si ripresenta come protagonista indicando il non-senso non solo di ciò che produce morte, ma soprattutto del dichiarare legittimo (perché la guerra è uno dei riti del potere) quel male e quelle morti, proprio mentre si sviluppa (siamo in pieno XIX secolo) la razionalità della medicina scientifica che dichiara di voler liberare l'uomo dal male.

Ripensare, al di là dell'immagine commercializzata e idealizzata della Nightingale, alla professione infermieristica come espressione di eresia radicale rispetto ai valori del potere non è forse indifferente.

Esattamente come ripensare alle donne che nella storia sono state isolate-esaltate-idealizzate nella loro diversità (della fuga di Chiara verso la diversità di Francesco, alla Caterina Fieschi ricordata nel libro), non come alternativa, ma come espressione complementare delle streghe, che dal loro sabba e dalle notti di San Giovanni irridevano la pretesa di controllo, obbedienza, ordine che si pretendeva loro di imporre.

3. Fa parte delle leggi di una storia raccontata dalla parte del potere, cancellare via via le radici e dichiarare che è vero solo ciò che vince.

La storia di oggi, raccontata a livello globale, ne è una conferma. La festa di un popolo liberato - che sia Haiti, o l'Angola, o il Nicaragua, o El Salvador o l'Eritrea - è vista come una « notte di San Giovanni », da concludere presto, per evitare che le streghe che là si agitano (uomini, donne, emersi dalle periferie e dalle dimenticanze) pretendano di riaffermare il diritto e la possibilità del rito della vita. L'Inquisizione di oggi ha roghi più forti e sicuri, e processi più efficienti e legittimabili: sono le misure degli aggiustamenti economici, i trattati intemazionali che dichiarano le materie prime (cioè il lavoro quotidiano e mal pagato, cioè la vita della gente) un bene variabile, da deprezzare quando fa comodo. Quando è il caso sono le guerre, che si scatenano « legittimamente » come in Irak, o a cui si assiste « deprecando » come nella ex-Jugoslavia, o che si tollera-no-sostengono con il loro stillicidio di morti « inutili » come in Palestina, o in Angola, o in Sud-Africa, o in Sicilia. Persino la letteratura medica, con la sua ufficialità, non riesce ad essere impermeabile a questa « altra faccia » di una civiltà che proclama sempre più che il diritto alla vita appartiene solo a quelli che hanno il privilegio: gli articoli sulle guerre e sui loro morti - da bombe, fame, malattie di ritomo - diventano sempre più frequenti (nelle principali riviste mediche), anche se smussano la loro eresia nello stile formale richiesto per gli articoli « scientifici ». Al di là di questa cronaca, il quotidiano della gente dei tanti Sud del mondo continua ad assomigliare a quel distretto di Savona dove si inventano streghe da bruciare (sono così diversi i « bambini della strada » del Brasile, dichiarati colpevoli del disordine e della violenza del paese, turbatori del suo ordine pubblico fatto di violenza strutturale ma legittimata, e perciò uccisi dagli squadroni della morte?) per tener buona la gente e dimenticare la perdita della libertà e dell'autonomia.

4. Nel timido progetto della Rdl sopra ricordato l'osservatorio intemazionale ha continuato, lungo tutti questi anni, la cronaca del mondo, nella convinzione che le radici infermieristiche, al di là delle tecniche che si apprendono e dei ruoli che si perfezionano e delle identità che si definiscono, non possono essere separate da questo contatto « eretico » con l'altra faccia della storia. Per resistere, in modo non passivo, alla banalità della routine assistenziale è forse necessario sapere di essere parte di un processo di « liberazione del male » che non inizia e termina nell'una e nell'altra corsia.

Ci sono persone che vedono le cose così come sono, e arrivano a dire, perché? Io sogno cose che non sono esistite, e dico perché no?

1. Il lungo titolo di questa parte della riflessione traduce dallo spagnolo un augurio di Pentecoste (nella tradizione cristiana, festa di un vento-fuoco-spirito che irrompe nella vita della gente per farne una « cosa nuova ») di una comunità di donne (italiane e brasiliane, che abitano tra Assisi e Roma) che nel cuore delle realtà quotidiane, con i mestieri più disparati, hanno scelto di stare dalla parte del rito della vita, levatrici-streghe-annunciatrici delle possibilità di essere fedeli ad una vocazione antica che vede nella liberazione dei più deboli ed emarginati il cammino per trovare anche la propria identità.

C'entra qualcosa questo augurio con la proposta di percorso alle radici della professione infermieristica?

2. Dieci anni fa, una donna-india, vestita di tutti i colori della storia del suo Paese, il Guatemala, raccontava al Tribunale dei Popoli il modo con cui tutta la sua famiglia era stata torturata, bruciata, uccisa dai soldati del suo Paese: senza nessun altra ragione se non per il fatto di essere indios, gente della terra e dei riti antichi della vita. Il racconto era quello di un sabba di terrore: uno dei tanti successi realmente nella storia dell'America Latina. La sua storia era il suo modo di essere infermiera dei suoi familiari: ne custodiva-acca-rezzava-tramandava la memoria, per dichiarare illegittimo il sabba reale - non condannato da nessun cultore dei riti del potere - che li aveva uccisi. Lei, donna, chiedeva alla memoria del mondo di non dimenticare, di inventare una « notte di San Giovanni » dove il lutto si potesse trasformare in festa.

L'anno scorso Rigoberta Menchù - la donna-madre-sorella-cu-stode della memoria della sua gente - ha ricevuto il premio Nobel della pace, in nome dei bruciati, torturati, scomparsi nei 500 anni di una conquista che non è stata solo dell'America, ma della vita della gente.                                                 

Associazione di idee e di immagini troppo alta e pretenziosa per una riflessione sulle radici della professione infermieristica?

3. Dieci anni fa, confusa tra un gruppo di campesinos in fuga, veniva uccisa in El Salvador Marianella Garcia Villas. Per anni, finché le era stato permesso, aveva usato la sua professione di avvocato per andare a scoprire, identificare, registrare tutti i cadaveri degli ammazzati dai militari e paramilitari del suo governo. Gli stessi che avrebbero ucciso il vescovo Romero. E più tardi i gesuiti. E nel frattempo le centinaia di donne e bambini di El Mozote. Rito della morte, denunciato e conosciuto da tutti, ma negato dai custodi dei riti del potere e dell'ordine. Era lei, la « infermiera » che ridava una identità e una presenza ai morti buttati nelle fosse comuni, o mutilati per disprezzo nel volto e nei genitali, la donna strana-strega. E quando fu uccisa - era ritornata clandestina per verificare e confermare le voci che dicevano che si erano fatti « passi avanti » nella tecnica dell'uccisione, e si bruciavano i guerriglieri, gli eretici o i civili-poveri, con il napalm - era di nuovo lei la strega, che aveva rivelato la sua identità al di là della sua veste estema di avvocato dei diritti umani facendosi guerrigliera, cioè fuorilegge.

Oggi El Salvador è in fase di « transizione democratica ». Tutti i morti recensiti da Marianella sono parte del rapporto ufficiale delle Nazioni Unite che incrimina militari e giudici, anche se questi si sono dichiarati « impunibili » (non : non-colpevoli, anzi: pienamente colpevoli, e perciò impunibili).

Destino eterno questo degli « infermieri della vita », quello di essere profeti, cioè perdenti in nome di una verità di futuro?

4. Quasi dieci anni fa, nel 1984, a Bhopai, in India, una fabbrica di una multinazionale americana lasciava uscire, « in un incidente », una quantità di gas tossico che uccise « alcune migliaia » di persone (non sono mai precisi i conti dei morti poveri: non sane conosce neppure il numero dei vivi) e ne invalidava alcune altre migliaia. A tut-t'oggi (lo ha documentato nel dettaglio una Sessione Internazionale del Tribunale dei Popoli, ed è stato ricordato recentemente anche da Lancet) nessuna di quelle vittime è stata neppure rimborsata (e nel frattempo sono morte bruciate, in Thailandia, bambine-lavoratrici, alcune centinaia, che costruivano bambole per l'esportazione in una fabbrica senza uscita di sicurezza). Sul bordo del quartiere delle vittime di Bhopai è stata costruita, subito all'indomani della strage-incidente, una grande statua di pietra bianca: scolpita da una donna olandese, figlia di morti nei campi tedeschi della seconda guerra mondiale, dopo aver vissuto un mese con le donne sopravvissute di Bhopai, discutendo con loro come esprimere la resistenza al rito di morte del potere industriale ed economico, e cercando con loro, bozzetto dopo bozzetto, la forma da dare alla statua della memoria e del futuro. Ne è venuta una grande figura di donna-madre, che custodisce in braccio una bambina: ed entrambe custodiscono-difendo-non-proclamano il diritto di quella gente ad esserci, a « contare », anche se nessuna autorità dice di saperne il numero.

Monumento ideale per la professione di donna-infermiera per i tempi moderni, all'incrocio di una « compassione » che non può non essere di lucidità politica, e di rivolta-resistenza, perché la morte e le malattie delle maggioranze passano solo marginalmente per le pratiche mediche e le tecniche infermieristiche?


Chi sa se...

... questa post-fazione è pertinente con la tesi e la ricerca del libro; e ancor di più, se il quadro di riferimento che è venuto via via crescendo reagendo alla lettura è pertinente per i lettori del libro; e, ancor più profondamente, se è lecito od appropriato, porre la professione infermieristica, così ben installata nelle istituzioni, e avviata a riconoscimenti « universitari », in un contesto di streghe e di eresie, di morti ammazzati e di donne rare ed improbabili.

Oggi non è più tempo di sabba e di streghe. Certo non in questa Italia. E non ci sono più roghi, specie per la professione infermieristica. Eppure chi sa se...

... non è interessante pensare che sia oggi, come sempre, il tempo che ha bisogno, mentre tutto tende a « normalizzarsi », di eresie creative, di persone che ritornano periodicamente in una « notte di San Giovanni » per ritrovare in una festa liberatoria la voglia di immaginare modi di guardare e agire capaci di inventare cammini atti a ridare centralità al rito della vita nel cuore della gestione dei man-sionari. Chi sa se...

... queste immaginazioni che mi vengono alla mente sono riconoscibili da infermiere-infermieri che hanno radici nella società di oggi.

Sarebbe bello...

1. Immaginare la professione infermieristica (in tutte le sue accezioni ed espressioni, mentre l'assistenza è divenuta mercato del la-voro, esteso e parte integrante della società e della medicina: siamo proprio agli antipodi delle lunghe storie raccontate dal libro), come il luogo e lo strumento per una nuova dialettica con la società e la medicina. Se infatti sono crollati steccati e pregiudizi (di tutti i tipi, sul corpo e sul sesso e le relative discriminazioni) sono rimaste sostanzialmente intatte le direzioni e le implicazioni del potere, quello istituzionale e quello concettuale-intellettuale. Ci sono sempre, e più numerosi, i poveri-malati-emarginati, anche se « in paesi lontani ». Ma la Comunità Europea sente il bisogno di erigere barriere al loro arrivo. E la storia della ex-Jugoslavia è alle porte.

Immaginare infermiere ed infermieri - donne e uomini " che si riconoscono, sulla base dello stesso lavoro, « popolazione sperimentale »: e l'esperimento è il più grande che ci si possa immaginare: documentare - far vedere e sentire, ai singoli e alla società - che se neppure di fronte al « rito della vita » (e ai suoi momenti alti, di festa e di lutto, del nascere, del soffrire, dell'essere diversi e del morire) si rompono i « riti del potere », non c'è speranza di democrazia sostanziale, cioè di senso nella vita.

2. Inventare allora una immagine della professione infermieristica, che non sia la propaganda di un mestiere più o meno bene o mal pagato (secondo i mercati privati o pubblici), o di un lavoro che cerca di essere attraente al di là della opacità delle mansioni « corporali » che richiede, ma che presenti il nursing come l'incontro con una delle domande di fondo sul modo di essere nel mondo; non perché si incontra la sofferenza (con tutti i suoi echi, più o meno solidali o compassionevoli), ma perché ci si trova all'incrocio di tutte le domande (le contraddizioni e le possibilità) di cui si è parlato finora. È evidente che ciò comporta due cose complementari ed entrambe sostanziali:

a) pensare ad un curriculum formativo dove ci si forma anche a fare l'infermiera/e, ma si da una importanza di fondo all'incrocio con le problematiche generali della sanità, intesa come « indicatore » privilegiato dei modi con cui la società (al Nord e Sud del mondo) sceglie tra « rito della vita » e « rito del potere ». Ci sono scuole disponibili a questa sperimentazione, che sicuramente sarebbe anche più produttiva per la formazione tecnica?

b) avere infermiere/i - individui, gruppi, movimento - che si preoccupano, come parte centrale e non marginale della professione, di produrre una cultura del « nursing della vita » (con tutte le implicazioni politiche e culturali) leggibile e visibile da parte della società. Il mondo infermieristico è un mondo di silenzio, della esecuzione, delle mansioni, con aggiustamenti marginali nelle modalità di gestione del lavoro. Non « si vede » nei dibattiti sulla sanità, sulla cooperazione, sul ruolo della scienza rispetto all'assistenza.

Non è possibile ritrovare la forza-capacità di « eresia intellettuale ed istituzionale » che è stata alle origini della professione, con forme oggi appropriate, scrivendo, agendo, intervenendo, ricercando, nei tanti luoghi critici che si occupano, coscienti di essere non solo « forza-lavoro », ma protagonisti di uno dei nodi del vivere sociale?

Fa parte della logica del libro che ha provocato queste riflessioni concentrarsi via via dal generale al particolare: sembra esserci una sproporzione tra i temi globali della prima parte, e la micro-storia di un territorio, passando per sguardi rapidi su momenti complessi della macro-storia. E non c'è dubbio che si potrebbero fare tante osservazioni sulla non-completezza o discontinuità di tanti passaggi.

        Ma il metodo (ricordato dalla citazione iniziale di Braudel) rimane. E rimane la sua lezione per questo ultimo paragrafo sul « sarebbe bello... ».

Le prospettive delineate nei primi due punti possono sembrare irrealistiche, o peggio, pretenziose. Sarebbero, o rimarrebbero tali (e in questo caso sarebbero un'ulteriore occasione di delusione-frustazioni) se non fossero pensate come proposte che si sperimentano nel concreto di situazioni limitate, concrete. Una, due, qualche scuola -uno, due, tanti luoghi di lavoro. Là dove si conoscono le persone e le realtà specifiche dove si esprimono le contraddizioni e le potenzialità della dialettica tra senso della vita e intrecci dei poteri. I campi sono tanti: c'è solo l'imbarazzo della scelta.

Ci sono gli anziani, per i quali non esiste un pensiero creativo, infermieristico, ne negli ospedali, ne sul territorio (mentre cresce la geriatria). C'è l'organizzazione del lavoro e dell'uso delle risorse umane (mentre cresce il managerialismo aziendale). C'è la quotidianità della gestione del dolore e dello « star male », al di là della malattia (mentre crescono gli specialismi sulla qualità della vita). C'è... Ognuno, da sola/o o come gruppi può identificare la micro-storia sua e della sua professione.

Ritornare alle radici, anche per percorsi « strani » come quello di questo libro, ha il senso del potare vigne e roseti, perché continui, nuovo, il rito del servizio alla vita.

GlANNI tognoni Redazione della Rivista dell'Infermiere, Segretario del Tribunale Permanente dei Popoli

1)  L'esperienza di questa storia è raccontata nel volume « Tribunale Permanente dei Popoli », Fondazione Intemazionale Lelio Basso, reperibile c/o Centro Documentazione Polesano, Via Presciane 13, 45020 Presciane di San Bellino, Rovigo (Tel./fax: 0425/707180).

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Il suo libro, del quale pubblichiamo questi estratti, è oggi difficilmente trovabile. Ma non demordete, andate nelle migliori librerie della vostra città e richiedetelo 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Musica: Some one saved my life tonight, by Elton J.

Pagina pubblicata il 01/01/01