Viaggio in Italia - Anno 1998
L'amore ai tempi del fascismo
Guardare bene dove mettere i piedi
Per non
calpestare le righe,
Contare sempre da uno a dieci
Prima di far saltare le
dighe
Guardare in alto, a destra, a sinistra,
Come se fosse
importante
Aspettare fumando per più di due ore,
Maledicendo una donna
intrigante
E due bonghisti neri
E due carabinieri
Che li guardano
come
Se fossero stranieri...
Non è rabbia per niente
E neanche
cinismo
E' il ritmo di Bologna
E' l'amore ai tempi del
fascismo.
Farsi scoppiare il tempo tra le mani
Per
paura di non riuscire a fare niente
Per ritrovarsi in una specie di
domani
Pieno di persone che sembrano "gente",
Mettere in fila dei pensieri
colorati
E tenerli insieme con parole di cristallo,
E il mio
cappotto
Che ha gli angoli slabbrati
E il tuo tramonto che diventa troppo
giallo
E due lavavetri polacchi
Che lavano nel niente,
Nei tuoi figli,
nelle tue mogli,
Nel tuo respiro indifferente...
Non è rabbia davvero
E
nemmeno arrivismo
E' il freddo di Milano
Questo è l'amore ai tempi del
fascismo.
Vedere poi tutti i paesi illuminati
Più
dall'orgoglio che dalla luce,
Le case bianche figlie delle colline,
di una
piacevole assenza di voce,
In cui andiamo a ricoverarci
Come malati
terminali
Quei letti bianchi, i pochi ospedali
In cui è possibile almeno
star male
E i due bonghisti neri,
Venti carabinieri
Che battono il
piede assorti
Nei loro pensieri...
Non è rabbia per niente
E non è più
leninismo
E' il cielo di Roma
Questo è l'amore ai tempi del
fascismo.
Accarezzare la poesia con le tue dita
Per
inghiottire
Lunghi giorni di silenzio,
Riccioli biondi incatenati ad una
vita,
Piombo d'argento
In fondo a lacrime d'assenzio...
E due zingari
slavi
Costretti dalle chiavi
A chiudere il violino
Con i suoni che tu
amavi
Non è disperazione
E neanche dolore
E' il vento di
Bologna,
Questo è il fascismo
Al tempo dell'amore
E non è disperazione
E neanche dolore
E'
un viaggio in Italia
Questo è il fascismo
Al tempo
dell'amore
Ho visto anche degli zingari felici
E Siamo noi a far ricca la terra
noi che
sopportiamo
la malattia del sonno e la malaria
noi mandiamo al raccolto
cotone, riso e grano,
e noi piantiamo il mais
su tutto
l'altopiano.
Noi penetriamo foreste, coltiviamo
savane,
le nostre braccia arrivano
ogni giorno più lontane.
Da noi
vengono i tesori alla terra carpiti,
con che poi tutti gli altri
restano
favoriti.
E siamo noi a far bella la luna
con la
nostra vita
coperta di stracci e di sassi di vetro.
Quella vita che gli
altri ci respingono indietro
come un insulto,
come un ragno nella
stanza.
Riprendiamola in mano, riprendiamola
intera,
riprendiamoci la vita,
la terra, la luna e l'abbondanza.
E'
vero che non ci capiamo
che non parliamo mai
in due la stessa lingua,
e
abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero
che abbiamo tanto da
fare
e che non facciamo mai niente.
E' vero che spesso la strada sembra un
inferno
o una voce in cui non riusciamo a stare insieme,
dove non
riconosciamo mai i nostri fratelli.
E' vero che beviamo il sangue dei nostri
padri,
e odiamo tutte le nostre donne
e tutti i nostri
amici.
Ma io ho visto anche degli zingari
felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotorlarsi per terra.
Io ho visto
anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di
vendetta e di guerra.
Io ho visto anche degli zingari felici
corrersi
dietro, far l'amore
e rotorlarsi per terra.
Io ho visto anche degli
zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di
guerra.
L'amore è una metamorfosi
L'amore è una metamorfosi
Dal silenzio ad un
suono,
da una vertigine di lana di vetro
Al diavolo in pietra su un
duomo,
E non so più se sono una donna
Oppure tu sei un uomo
Ma in
qualche modo, senza capire,
In qualche modo ci sono
Con la mia bocca, con le mie mani
Col mio
respiro sulle paure,
Preso di vento, fatto di vento,
Una giacca per le
avventure
E i nostri occhi che si ritrovano
Nel ritmo del tuo
lenzuolo
Perché l'amore è una metamorfosi
E stanotte, stanotte non sono
solo.
L'amore è una metamorfosi
S'increspa il
labbro delle colline
La tua fronte è solcata,
Ti disegna gli occhi,
E
sorridi di ogni confine
Senza il rumore del nostro tempo,
E il suo
spavento di tuono,
E in quulche modo, io non so come,
Ma, in qualche modo,
io ci sono
Perché lo senti dove si tocca
Questo mio
corpo col tuo
Perché l'amore è una metamorfosi
Dalla tua luce al mio
buio,
E poi la senti la nostra radio
Che parla sempre di prigionieri
di
giorni stanchi, pieni di sassi
di giorni tutti come ieri...
dura un
minuto, dura una vita
Ma ogni minuto è importante
Perché l'amore è la
metamorfosi
di un dio malconcio in amante
Che ti disegna sopra
l'abisso
Senza un contorno di luna.
Il nostro amore è una
metamorfosi,
Amore: buona fortuna.
E non so più se sono una donna
Oppure un
uomo nella tua mano
Ma in qualche modo,
Quando ci amiamo,
In qualche
modo cambiamo.
Aspettando Godot
Vivo tutti i miei giorni aspettando
Godot,
dormo tutte le notti aspettando Godot.
Ho passato la vita ad
aspettare Godot.
Nacqui un giorno di marzo o d'aprile non so,
mia madre
che mi allatta è un ricordo che ho,
ma credo che già in quel giorno
però
invece di succhiare io aspettassi Godot.
Nei prati verdi della mia
infanzia,
in quei luoghi azzurri di cieli e acquiloni,
nei giorni sereni
che non rivedrò
io stavo già aspettando Godot.
L'adolescenza mi strappò di
là,
e mi portò ad un angolo grigio,
dove fra tanti libri però,
invece
di leggere io aspettavo Godot.
Giorni e giorni a quei tavolini,
gli amici
e le donne vedevo vicini,
io mi mangiavo le mani però,
non mi muovevo e
aspettavo Godot.
Ma se i sensi comandano l'uomo obbedisce,
così sposai la
prima che incontrai,
ma anche la notte di nozze però,
non feci altro che
aspettare Godot.
Poi lei mi costrinse ed un figlio arrivò,
piccolo e tondo
urlava ogni sera,
ma invece di farlo giocare un po',
io uscivo fuori ad
aspettare Godot.
E dopo questo un altro arrivò,
e dopo il secondo un altro
però,
per esser del tutto sincero dirò,
che avrei preferito arrivasse
Godot.
Sono invecchiato aspettando Godot,
ho sepolto mio padre aspettando
Godot,
ho cresciuto i miei figli aspettando Godot.
Sono andato in pensione
dieci anni fa,
ed ho perso la moglie acquistando in età,
i miei figli son
grandi e lontani però,
io sto ancora aspettando Godot.
Questa sera sono un
vecchio di settantanni,
solo e malato in mezzo a una strada,
dopo tanta
vita più pazienza non ho,
non voglio più aspettare Godot.
Ma questa strada
mi porta fortuna,
c'è un pozzo laggiù che specchia la luna,
è buio
profondo e mi ci butterò,
senza aspettare che arrivi Godot.
In pochi passi
ci sono davanti,
ho il viso sudato e le mani tremanti,
e la prima volta
che sto per agire,
senza aspettare che arrivi Godot.
Ma l'abitudine di
tutta una vita,
ha fatto si che ancora una volta,
per un minuto io mi sia
girato,
a veder se per caso Godot era arrivato.
La morte mi ha preso le
mani e la vita,
l'oblio mi ha coperto di luce infinita,
e ho capito che
non si può,
coprirsi le spalle aspettando Godot.
Non ho mai agito
aspettando Godot,
per tutti i miei giorni aspettando Godot,
e ho
incominciato a vivere forte,
proprio andando incontro alla morte,
ho
incominciato a vivere forte,
proprio andando incontro alla morte.
ho
incominciato a vivere forte,
proprio andando incontro alla
morte.
Non conosco sorrisi
Non conosco sorrisi
a parte quelli nei sogni
che lasciano in bocca
il sapore del rimpianto
ed un fardello accanto
al percorso degli anni
e le risate dei cafoni
per la strada dei campi.
Io primogenito triste
che dimestica l'inchiostro
e combina le parole
che diventano poesie
e cento malattie
intorno a questa terra
il seme e la fatica
e i frutti della guerra.
E che ritorni l'estate
con i frutti sui rami
e si vedano fanciulle
a passeggiare nei prati
e miei occhi sudati
levarsi dal leggio
e inseguire le vesti
di quella grazia di dio
E poi che torni quel sogno
in cui raggiungo i suoi occhi
e le bacio i capelli
col sole tra i rami
e mani tra le mani
accompagnare il tramonto
che dà l'arrivederci
a questa fetta di mondo.
Non conosce sorrisi
questa sorte matrigna
che non risparmia dolori
e il desiderio insipido
che i poveri di spirito
perdano la voce
e distillino un sorriso
per chiunque ha una croce.
Io primogenito poeta
di una casa tra i monti
di un temporale in arrivo
di una salute bucata
con un fratello spensierato
che mi lascia un pensiero
proprio mentre me ne vado
e lo raccomando al cielo.
Michel
Ti ricordi,
Michel dei nostri pantaloni
corti,
delle tue gambe lunghe magre e forti
e della rabbia che mi davano
correndo tutti i giorni
un po' più svelte delle mie.
Ti ricordi,
Michel
dei nostri soldatini morti,
nella difesa eroica dei bastioni
e seppelliti
in una siepe con onori militari
inventati lì per lì.
Ti ricordi,
Michel
del banco nero in terza fila,
che ascoltò tutte le risate,
di due bambini
che vivevano in un sogno
che non si ripeterà.
Ti ricordi, Michel.
Ti
ricordi, Michel.
Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi,
Michel.
Ti ricordi,
Michel che a me piaceva
Garibaldi,
ma tu dicevi che era un buffone
e che senz'altro non poteva
sostenere il confronto
con il tuo Napoleone.
Ti ricordi,
Michel di come
ti prendevo in giro,
per l'erre moscia che ti era rimasta,
solo ricordo
della Francia e della tua prima casa,
dei tuoi amici di lassù.
Ti
ricordi,
Michel di come era esclusiva
la tenerezza che ci univa,
e
accompagnò la nostra infanzia fino ai giorni
della nuova realtà.
Ti
ricordi, Michel.
Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi,
Michel.
Ti ricordi,
Michel di come a me
dispiaceva,
quando parlavi sempre di ragazze
e delle voglie che avevi con
due occhi un po' sottili
che non conoscevo più.
Ti ricordi,
Michel di
quando i mei capelli corti,
ti davano fastidio e dicevi,
che se non la
piantavo di fare il bambino tu con me
non ci saresti uscito più.
Ti
ricordi,
Michel quel giorno che facemmo a pugni
tornando a casa dalla
scuola,
con la cartella appogiata a una colonna
a due passi dal
palto.
Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi,
Michel.
Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi,
Michel il giorno che morì tua
madre,
che tu piangevi tanto che anche il cane
che ti voleva così bene non
aveva il coraggio
di avvicinarsi un po'.
Ti ricordi,
Michel che tristi
erano quei giorni,
io non sapevo proprio cosa dirti
e che confusione avevo
in testa e che stupore sul tuo viso
e che voglia di partir.
Ti
ricordi,
Michel quei due saluti alla stazione
e i lacrimoni venir
giù,
quando la macchina incominciò a far pressione
tu dovesti salir
su.
Ti ricordi,
Michel che fretta che avevano tutti,
di far partire la
vettura,
mentre lento il tuo vagone se ne andava
ritornava la paura.
Ti
ricordi, Michel.
Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi,
Michel.
Vorrei farti vedere la mia vita
Vorrei farti vedere la mia vita
E gli oggetti che le girano intorno
E le luci che la rendono impaurita
Fino dall'alba e fino al nuovo giorno.
Vorrei farti vedere la mia vita,
Le
bottiglie i piatti, sporchi, le canzoni,
Raccontarti che mi bastano due
dita
Per dire alt, ok, contraddizioni,
Vorrei farti vedere il passaporto
Un po'
ingiallito che ho
Dentro il portafogli
Vorrei dirti che non sono ancora
morto,
Anche se il mio tempo
E' schiavo dagli imbrogli.
Vorrei fare tutto questo ma ti guardo
E
capisco che tu forse non lo vuoi
Siamo gente, noi, lontana dal
traguardo,
Siamo lontani dagli errori e dagli eroi,
Poi c'è un bimbo che
mi chiama con la mano
Begli occhi neri,
Tocca il mondo con le
dita
L'avrei fatto anch'io soltanto ieri,
E oggi vorrei regalarti la mia
vita.
Vorrei farti vedere la mia vita
Un film
sbagliato
In cui non succede niente,
Con degli attori
che non sanno
recitare,
Non sono attori,
E non sono neanche gente,
Come sugli autobus di questa
ITALIA
NAZI
Che mi trasportano
Da un centro ad un macello
Con della
gente
Che propone di ammazzare
Sia la cruna che l'ago,
E anche il
cammello.
Ecco, vorrei che mi vedessi lì,
perduto in
mezzo alla violenza
Del mio mondo,
E poterti dire: non può essere
così
Diamoci un bacio
In questo brutto girotondo,
E vorrei che mi vedessi alla stazione
Mentre
fumo, guardo i treni
E bevo vino,
Io vorrei che tu vedessi la mia
vita
Amando i punti del mio
Piccolo declino.
Poi c'è un bimbo
Che mi chiama con la
mano
Begli occhi neri,
Tocca il mondo con le dita,
L'avrei fatto
anch'io soltanto ieri,
E oggi vorrei farti vedere la mia vita.
L'avrei
fatto anch'io soltanto ieri,
E oggi vorrei farti vedere la mia
vita.
Keaton
Lo chiamavamo Keaton quel
pianista
Naturalmente perché non sorrideva mai
Mentre noi ci ammazzavamo
di risate
A vederlo come un parafulmine, dritto,
Contro un cielo di
guai.
Guai di tasca, violoncello, guai d'amore,
Guai da vita distratta e
disarmata,
Che ricamavano dentro al suo stupore
Una tela
affascinante,
Ma un po' troppo delicata.
E lui si presentò come un
jazzista
Appassionato e puro in stile rete tre,
Coi pregiudizi di chi si
sente artista,
Perché non faceva soldi, lui,
Con le canzoni, come
me.
Ma non mi accompagnava poi malvolentieri,
Eravamo due grandi acrobati
della malinconia,
E poi dobbiamo farne di mestieri,
Noi che viviamo, della
nostra fantasia.
E parlavamo poi molto in quelle sere,
In qualche bar,
dopo il concerto,
Insonni e morti.
Di politica, ciclismo, storie
vere,
E di come i Weather Report erano forti,
E di come era importante fra
la gente,
Non essere solo musica e parole,
E di come era importante che la
gente,
Non fosse una somma di persone sole.
Keaton, Keaton
Che fine hai
fatto Keaton,
Sei poi andato in malora Keaton,
Lo sai che ti sto venendo a
cercare.
Keaton, Keaton
Perché stanotte Keaton,
Proprio stanotte
Keaton,
Avrei bisogno di sentirti suonare.
Si illuminava poi di colpo,
Lungo l'effimero
consueto di una sera,
S'illuminava di una gioia grande,
Quando si
avvicinava a una tastiera.
E preferiva quelle un poco usate
Quelle in cui
tutti mettono le mani,
Quelle ingiallite dal tempo,
Un po'
scordate,
Dall'ignoranza, dalla passione degli umani.
E poi una volta
abbiamo litigato,
Per una donna prima sua, dopo mia,
Lui coi suoi guai, io
con il mio quasi peccato,
Sconfitti entrambi dalla malinconia.
Ci siamo
persi quasi senza una parola,
Ma tutti e due con più rabbia che
rimpianti,
Come i bambini che si fan dispetti a scuola,
Come due vecchi
che si sono amati tanto.
Poi ho provato a rintracciarlo
dapertutto
Chiedendo a più di un dirigente supponente,
Telefonando
all'arcicaccia all'arcitutto,
Ma di lui sembra non sia rimasto niente,
Se
se ne parla è nel ricordo di un momento,
Qualcuno dice che l'ha visto ma
lontano,
E tutti con un gran sorriso spento,
Quasi per dire "era un
ragazzo troppo strano".
Keaton, Keaton
Che fine hai fatto Keaton,
Se mi
vedessi con l'impermeabile,
Sotto la pioggia che ti vengo a
cercare,
Keaton, Keaton
Perché mi manca,
Questa notte mi manca,
La
tua voglia di suonare.
E finalmente un chissa chi non mi
delude,
Forse, però, non sa, probabilmente,
E' in una provincia lontana
come una palude,
Dai nostri discorsi di suonare tra la gente.
Una
provincia come una sconfitta,
Meno che essere una minoranza dignitosa,
E'
una palude è certo troppo fitta
di voli di zanzara per suonarci qualche
cosa.
Lo trovo e sembra che non sia più Keaton,
Anche se è contento di
vedermi,
Sembrava facile toccarlo con un dito,
Ma il cielo ci ha voluto
tutti fermi.
E finalmente ride e ride tanto ed è ingrassato,
E giura
troppo che non sta poi male,
Il jazz ormai se l'è dimenticato,
Ci son
parole tempi e ritmi
Anche dentro a un ospedale.
E nel lasciarmi
all'inizio della sera, dice,
E' come alla fine del cinema muto,
C'è il
sonoro non serve una tastiera,
Ci salutiamo nel silenzio più assoluto,
Ed
esco fuori con i miei giornali
E non ho voglia di ridere per niente.
Ho un
treno che mi aspetta alla stazione,
Mi dà fastidio anche il rumore della
gente.
Keaton, Keaton
Che fine hai fatto Keaton,
Sei poi andato in
malora Keaton,
Lo sai che ti sto venendo a cercare,
Keaton,
Keaton
Perché stanotte Keaton ...
L'isola verde
Vivere costa fatica,
quando la vita è tutti
i giorni uguale.
Vivere costa fatica,
quando dai giorni non nasce
nient'altro che male.
Ditemi come si fa,
a vivere tutta la vita in questa
città.
Di giorno sudore ed attrezzi,
di notte cercar nelle strade le donne
coi prezzi.
Arriva un mattino improvviso
una luce strana che entra da una
finestra.
E sotto è sparito il cortile,
c'è un'isola verde che tinge i
miei occhi di festa.
Nessuno avrebbe esitato,
a volare felice incontro ad
un sogno così.
E l'aria riempie il palato,
la terra raccoglie le ossa di
un uomo impazzito.
Mi chiamano pazzo perché,
ho sempre in mente
di andarmene dalla città.
Di andarmene a vivere là,
nell'isola verde della
mia felicità.
Laggiù mi aspetta Maria,
la donna che ho sempre voluto e non
è stata mia.
Mi aspetta dentro una casa,
piena di luci, di fiori, dipinta
di rosa.
Laggiù mi aspettano giorni,
pieni di sole, colore e di
allegria.
Laggiù potrei dimenticare,
i muri guardiani che oggi mi fan
compagnia.
Ma non vogliono ch'io viva là,
nell'isola verde della mia
felicità.
Vogliono che viva qui,
vestito di bianco e costretto a
rispondere si.
Io ti faccio del male
Io ti faccio del male anche se ti amo,
ci
sono troppi spigoli nei miei giorni,
così ferisco i tuoi riposi, i tuoi
sonni,
con parole insistenti, col bisogno che torni,
io ti faccio del male
perché sono feroce,
e ho l'energia artificiale dei vinti,
tu hai perduto
la pace trovando la mia voce
in questi mesi meravigliosi e
finti,
io ti faccio del male perchè non riesco a star
fermo
e ho una bottiglia piatta sempre in tasca,
tu guardi lontano, tu hai
lo sguardo più aperto
anche se sai soffrire con me quanto basta,
io ti
faccio del male proprio perché ti amo,
e sono caduto nel tuo orizzonte,
e
ci vivo dentro, e ti sogno e ti chiamo:
soffiami via l'inferno dalla
faccia...
ma quando ci guardiamo e ci vediamo
respirare
il petto si alza, si abbassa
come le onde di un mare
non
ancora in tempesta, ma mosso dal profondo
che sta forse per cacciare
la
solitudine dal mondo,
ecco, quando sentiamo che il tempo ci appartiene
è
allora che ti amo
e ti faccio del bene,
è proprio quando ti amo che ti
faccio del bene,
è proprio perché ti amo
che ti faccio del bene,
e
proprio perché ti amo
che ti faccio...
Come Fred Astaire
Guarda si allontana piano
Questo passato
prossimo già lontano
Tra una rosa che sfiora
Il dorso della mano
E il
tuo passo hollywoodiano.
Ora sul tuo cuore
Cadono gocce n°5 di
mare
Mentre nell'atrio
Continuano a parlare
Ritorniamo giù a
danzare
E sfiorarti, sussurrarti
Levigarti senza mai
toccarti
Come Fred Astaire
Circondarti, volteggiarti
Sorvolarti senza
mai toccarti
Come Fred Astaire
Guarda quanti giornalisti
Quanta gente di
mondo, quanti turisti
Quanti scalciano ed urlano per entrare
Tanti cani ed
un solo collare
Guarda quanta carne al vento
Quanti questa
notte di tempesta
Bussano al convento
Quante vacche pronte per la
selezione
Tanti numeri ed un solo padrone
E sfiorarti, sussurrarti
Levigarti senza mai
toccarti
Come Fred Astaire
Circondarti, volteggiarti
Sorvolarti senza
mai toccarti
Come Fred Astaire
Svelta muovi il passo in fretta
Questi che
guidano il ballo
Non hanno pietà
Così tra poco il sogno
s'interromperà
Metteranno la pubblicità
Scappa, vieni via con me
Lascia quest'orgia,
questa pornografia
Rivendichiamo il nostro ballo
Senza
nostalgia
Nell'attesa di cacciarli via.
E sfiorarti, sussurrarti
Levigarti senza mai
toccarti
Come Fred Astaire
Circondarti, volteggiarti
Sorvolarti senza
mai toccarti
Come Fred Astaire
Sorvolarti senza mai toccarti
Come Fred
Astaire
Viaggio
E da un'uscita di galleria,
col cuore in
gola, ti trovi in faccia il sole
che ti fruga i pensieri:
Ti legge dentro
la nostalgia,
del buio fresco in cui fino a ieri
gettavi via i tuoi giorni
d'eternità.
Ma la voglia di vivere,
forse ti salverà,
all'uscita di una
galleria.
Vivere è perdersi e ritrovarsi,
corrersi
dietro per poi lasciarsi andare,
una volta di più.
Vivere è una tela di
cose,
con cui riempire i lunghi intervalli,
tra un momento e l'altro di
felicità.
E la voglia di vivere,
forse ti porterà,
se il suo sole corto
basterà.
Ed in un viaggio può capitare,
di ritrovarsi
a contare tutto,
quel che è stato di te.
Quello che hai dato, quel che hai
avuto,
quel che hai trovato, quel che hai perduto,
quello che hai
chiuso
e quello di te che hai aperto.
Ma la voglia di vivere,
nel suo
tratto scoperto,
in un viaggio ti capiterà.
Cose che passano, non ti voltare,
non
riuscirai a trattenere un giorno,
un silenzio di più.
Cose che passano,
vestiti stretti,
amori che hanno disfatto i letti,
che hanno raccolto i
semi e la sterilità,
di una voglia di vivere
che è già nostalgia,
e si
entra in un'altra galleria.