VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE E CURA MULTIDISCIPLINARE NEL PAZIENTE "DICHIARATO" IN FASE TERMINALE
IP CHIARA PIROLA
Introduzione: lavoro da diversi anni nel campo dell’Assistenza
Domiciliare Integrata e ritengo sia
una valida alternativa al ricovero ospedaliero per qualsiasi persona clinicamente definita in fase avanzata o
terminale.
In oncologia si
intende per fase terminale un paziente che, indipendentemente dall’attesa di
vita (brevissima o di vari mesi) non è suscettibile di trattamento
oncologico.
Ma del resto
chi avrà mai la certezza che la durata di tale periodo non possa mutare e la
situazione clinica possa assestarsi?Quindi è di fondamentale importanza che gli
operatori preposti all’espletamento
di un’assistenza alquanto delicata e complessa, cooperino in una
valutazione multidisciplinare con l’obiettivo primario ed essenziale di
salvaguardare la qualità della vita del paziente al proprio domicilio, tra
l’affetto dei suoi cari. Tutto quanto è assai dinamico e può continuamente
modificarsi.
Solo con grande abilità e destrezza nel saper osservare, ascoltare, rilevare
e reimpostare, l’Équipe di Cura potrà infondere sicurezza al paziente e ai suoi
familiari.Sicurezza e tranquillità
sono requisiti fondamentali da infondere alle persone direttamente
coinvolte nell’assistenza, perché di fatto dovranno far parte dell’Équipe per
ottenere continuità assistenziale e beneficio.
Inoltre è
tradizionalmente convinzione di molti che l’Ospedale sia l’unico luogo di cura e
al contrario il domicilio rappresenti il luogo dove “non ci sia più nulla da
fare”.Non credo sia scientificamente provato e psicologicamente corretto.Infatti
sono innumerevoli le risorse e le strategie che operatori, pazienti e
familiari possono sfruttare al
confronto della specializzata ma spersonalizzata struttura
ospedaliera.
Con quest’ultima affermazione non si
vogliono porre critiche negative; del resto è impensabile che la Struttura
Ospedaliera con i propri carichi di lavoro e obiettivi alquanto diversi dal
Servizio Territoriale, possa
adeguarsi ai ritmi e ai bisogni di ciascuno dei suoi
utenti.
A tale
proposito vorremmo presentarvi un caso clinico da noi trattato domiciliarmente
fuoriuscito da un protocollo ospedaliero e personalizzato a domicilio con
risultato del tutto soddisfacente.
Obiettivi
prefissati dall’Équipe Domiciliare...
1. Impostare un approccio
valutativo del tutto peculiare, in quanto, soltanto una strategia basata sulla
valutazione multidisciplinare del paziente, della famiglia e del contesto
abitativo, può fornire un
dettagliato inquadramento dei loro problemi favorendo la creazione e
l’attuazione di un piano
individualizzato, integrato, socio-sanitario assistenziale rivolto a soddisfare
le necessità, la permanenza e la qualità della vita al proprio
domicilio.
2. Individuare un
familiare leader e creare in lui la
coscienza di far parte di un Équipe di Cura.
3. Monitorare le condizioni
fisiche e psichiche del
paziente e saper riconoscere
anche l’eventualità di un
possibile e necessario ricovero
ospedaliero per applicazione di
terapie palliative specifiche di
non fattibile attuazione domiciliare, o l’eventuale inserimento nell’Équipe di
Cura di un operatore specifico per la risoluzione di un determinato
problema.
4. Fornire mezzi e materiali idonei ed essenziali e supporto ai
familiari al fine di renderli
idonei ad assistere il malato e a conviverci in modo equilibrato fino all’ultimo
istante di vita
Presentazione
del caso clinico:
nel
gennaio del 1998 la signora X di 66 anni viene ricoverata d’urgenza nel reparto
di Ginecologia per metrorragia di n.d.d.
All’esame
obiettivo ginecologico il collo uterino si presenta ulcerato e sanguinante.
Viene
eseguita una biopsia della portio uterina con successiva diagnosi di Carcinoma
Epidermoide Cheratinizzante moderatamente
differenziato.
Quando
si giunge alla diagnosi di tumore per qualsiasi persona si intraprende un iter
diagnostico al fine di poter studiare il caso clinico nei dettagli e giungere a
una pianificazione terapeutica appropriata.
Alla
signora viene impostata Chemio-Radioterapia senza esecuzione di intervento
chirurgico poichè clinicamente ritenuta inoperabile
I cicli
di chemioterapia vengono effettuati in regime di ricovero ospedaliero, mentre la
radioterapia, a cui la signora deve essere sottoposta a cavallo dei cicli di
chemio, viene effettuata ambulatoriarmente. Ciò comporta per la paziente un
notevole dispendio di energia in quanto, per cinque settimane, per raggiungere
il Servizio competente deve percorrere 80 Km giornalieri costantemente
accompagnata dalla figlia.
Terminato
il secondo ciclo di chemioterapia, dopo due giorni la signora viene ricoverata
d’urgenza per metrorragia profusa .
All’esame
obiettivo ginecologico si evidenziano abbondanti perdite emorragiche dai
genitali esterni con espulsioni di coaguli. All’esplorazione si avverte un esteso
cratere della portio.
Viene
praticato tamponamento vaginale e terapie mediche di
supporto.
Data la loro inefficacia viene eseguita
embolizzazione delle arterie cervicali con esito
soddisfacente.
La
paziente, inoltre, è stata emotrasfusa.
Dalle
problematiche comparse e dal decadimento organico associato è inevitabile la
decisione medica di non continuare più i cicli prescritti e consigliare al
Medico di Medicina Generale l’attivazione del Servizio Cure Palliative
Zonali.
Pertanto
viene dimessa e posta in terapia antidolorifica domiciliare con Efferalgan 500
mg 1cpx2 e Soldesan 1 f/ die.
Modalità
d’attivazione e requisiti:
l’attivazione
del Servizio avviene esclusivamente
mediante la compilazione di moduli predisposti dal Medico di Medicina Generale.
Sarà compito, successivamente, del
Medico Coordinatore Distrettuale zonale concordare con il Medico
attivante:
1.
la durata del periodo di
erogazione dell’Assistenza Integrata
2.
gli interventi e le
cadenze degli operatori coinvolti
3.
i momenti di verifica
comune all’interno del periodo di effettuazione del servizio.
Inoltre,
requisiti minimi che di norma devono essere costantemente presenti per attivare
il servizio:
1. il consenso del paziente e
famiglia
2. la non
autosufficienza
3. la collaborazione del Medico
di Medicina Generale
4. un livello di complessità
sanitaria delle cure da erogare compatibile con il contesto domestico e
familiare
Strumenti,
procedure ed operatori coinvolti:
Ancor prima di
effettuare le visite domiciliari infermieristiche, dal Coordinatore Distrettuale erano stare raccolte
informazione aggiornate sulle condizioni psico-fisiche della paziente, sulle
possibilità ed aspettative familiari .
Le informazioni
provenivano sia dalla fonte medica che familiare ed in particolare
emergeva:
1. la volontà familiare di non
mettere a conoscenza la paziente della vera patologia e prognosi infausta ad
essa correlata.
2. le precarie condizioni di
salute del marito convivente affetto da patologia
cardio-respiratoria
Per valutare il
caso clinico sono stati utilizzati due strumenti che hanno permesso in
contemporanea di possedere una valutazione multidimensionale della paziente ed
addentrarsi nella specificità della patologia al fine di acquisire più
informazioni dettagliate per attivare interventi specifici, appropriati e
immediati.
Per la
valutazione multidimensionale viene utilizzato il VAOR-ADI, strumento globale e
standardizzato per la valutazione dei bisogni, delle capacità e preferenze dei
pazienti. Tramite una scheda raccolta dati denominata. “Minimum Data Set” è
consentita una rapida valutazione obiettiva nelle diverse aree: stato
funzionale, stato di salute, supporto sociale e uso dei servizi. Lo strumento è
stato ideato per l’utilizzo da parte di figure professionali in ambito clinico:
Infermieri Professionali, Assistenti Sociali e
Medici.
Consiste di item e
definizioni e viene utilizzato in Équipe come guida nell’erogazione della
valutazione clinica a domicilio.
Nelle
valutazioni si può intervistare direttamente il paziente, il familiare deputato
nell’assistenza se disponibile, o entrambi; l’osservazione del paziente
nell’ambito domestico e la revisione della documentazione clinica, quando disponibile. La prima valutazione
viene effettuata alla segnalazione per l’inserimento di un programma di
assistenza domiciliare e ripetuta a cadenza trimestrale, al fine di ridefinire e
rivalutare il programma di assistenza, dopo che il paziente si è stabilizzato
con i servizi forniti.
E’ indicata,
inoltre una valutazione straordinaria qualora il paziente presentasse
significative modificazioni dello stato generale dovuta alla malattia
ingravescente, al declino funzionale o al cambiamento delle condizioni di chi lo
assiste.
L’intervistatore sarà il Case-Manager del
caso clinico.
Per affrontare
la problematica clinica sono state utilizzate schede predisposte settimanali di
facile compilazione, rilasciate al domicilio della paziente dal Medico
Palliatore. La costante e precisa compilazione da parte della paziente può
evidenziare: la sintomatologia avvertita, descrivere e attribuire un punteggio
da 10-100 sull’entità del dolore e specificare la sua insorgenza e
frequenza.
In concomitanza
la famiglia è stata informata sull’utilità del servizio, sulle visite
periodiche e sulla reperibilità dei
medici del servizio (24 ore su 24).
L’attivazione
della reperibilità avviene previa richiesta del Medico di Medicina Generale, o
in sua assenza , dal Medico di Continuità
Assistenziale.
Visitata la
paziente il Medico Palliatore ridefinisce la terapia del dolore: Temgesic 1cpx2,
Lixidol 30mg 1f/die, Serenase 15gtt x2, Cytotec
1cpx2.
Dalla
valutazione iniziale la paziente risulta in parziale grado di
autonomia.
Nelle
attività inerenti alla cura di sé necessità solo supervisione nell’uso della
vasca e riceve aiuto quotidiano dalle sue due figlie, che si alternano in base
alla loro disponibilità e possibilità negli interventi quotidiani quali: preparazione pasti, spesa,
pulizia ambiente domestico.
E’ preoccupata per lo stato della sua
salute e prova sensazioni di tristezza quotidianamente, richiedendo spesso
attenzione e rassicurazione dai suoi familiari.
Presenta
dolore discontinuo di tipo costrittivo in zona genito urinaria, al quale
attribuisce un punteggio variabile in una scala di valutazione antalgica da 10 a
100.
Lamenta,
inoltre, astenia, insonnia, epigastralgie, dispepsie e sudorazione di entità
moderate.
Comprovata
l’autonomia e l’organizzazione familiare preesistente, vengono pianificate e
attivate visite domiciliari infermieristiche con cadenza settimanale. Gli
accessi verranno in seguito potenziati in base alle sue
necessità.
In
collaborazione con il Medico di Medicina Generale ed il Medico Palliatore viene
rivolta particolare attenzione alla cura del dolore e di altri sintomi, ai
problemi psicologici e
sociali.
Il continuo dialogo,
l’osservazione e l’informazione sono strumenti indispensabili per addentrarsi
nel contesto familiare e per risolvere nel miglior modo possibile problematiche
e dinamiche familiari insorte
.
Per i
successivi trenta giorni la situazione clinica permane pressoché
stazionaria.
Poi,
rapidamente il dolore diviene non più controllabile con la terapia
precedentemente impostata.
Si
manifestano episodi quasi quotidiani, di variabile durata e di intensità
ingravescente in regione perianale con irradiazione arto inferiore di sinistra,
simile a sciatalgia. All’osservazione
si riscontra la costante assunzione di posture obbligate per lenire il
dolore, incapacità a mantenere la stazione eretta nella deambulazione e un visus
contratto.
La
continuità di questi episodi hanno severamente compromesso le attività del
vivere quotidiano, la motilità, il sonno, l’appetito e
l’umore.
I
familiari presenti si sentono impotenti e inerti
spettatori.
Il
Medico Palliatore allarmato più volte dai colloqui con l’operatore
infermieristico referente del caso clinico, si è recato a domicilio per
ridefinire la terapia con scarso beneficio.
Le
diverse strategie e l’inefficacia della terapia farmacologica (giunti alla
soglia tetto del Temgesic),
inducono il medico alla prescrizione
morfinica.
Purtroppo
anch’essa con risultati del tutto insoddisfacenti. Infatti la paziente di sua
iniziativa sospende la terapia morfinica e ritorna all’assunzione di Temgesic,
in quanto psicologicamente il numero superiore di compresse la fa star
meglio.
La
paziente era in nota per eseguire
la Risonanza Magnetica Pelvica, precedentemente prescritta
dall’oncologo.
Nelle
condizioni attuali urge la necessità di anticiparne l’esecuzione. Verificata
l’impossibilità di accedere mediante la procedura dell’urgenza, si contatta il
Servizio competente per accordare una possibile soluzione. Esposto il caso
clinico, rispondono che sarà loro premura anticipare la data, inserendola nelle
eventuali e possibili disdette. L’obiettivo viene
raggiunto!
In breve
tempo vengono effettuati nella stessa giornata, l’esame e la visita
oncologica.
L’Oncologo
dopo aver ascoltato e attentamente osservato la paziente esegue l’esplorazione
rettale, resa molto difficoltosa per la sintomatologia dolorosa lamentata e
riscontra la presenza di materiale fecale all’esplorazione
vaginale.
Tutto
quanto verrà in seguito confermato dal referto diagnostico della Risonanza
Magnetica, che evidenziava la presenza di lesione ulcerata nel setto-retto
vaginale per Carcinoma della Portio a fistolizzazione
rettale.
Viene
ricoverata d’urgenza nel reparto di Chirurgia per eseguire Colonstomia
Palliativa e dimessa in quattordicesima
giornata.
Alla
visita domiciliare la paziente appare molto pallida, stanca ma non lamenta
sintomatologia dolorosa.
Purtroppo
il giorno seguente si verifica la suddetta complicazione: EVISCERAZIONE IPOGASTRICA DA DEISCENZA DI SUTURA
LAPAROTONICA E DEISCENZA DI SUTURA COLONCUTANEA IN ANO ILEO
SINISTRO
Viene
richiesto l’intervento del 118 per
il trasporto in Ospedale e immediatamente rioperata.
Constatata
l’impossibilità della sintesi completa della ferita chirurgica, viene
ricostruita la parete addominale e il rimanente tessuto (cute e sottocute) verrà
trattato mediante guarigione per 2° intenzione.
L’insorgenza
di tale complicazione è da attribuirsi verosimilmente al quadro di malnutrizione
energetico-proteica (ipoalbuminemia), secondariamente rilevata e
diagnosticata.
Nei
venti giorni di ricovero, la paziente viene posta in terapia parenterale
mediante l’incanulamento per via percutanea della succlavia e infusa tramite
pompa.
La
notevole ampiezza e profondità della ferita chirurgica, la frequente presenza di
materiale fecale nella stessa, secondaria alla contiguità esistente alla
colonstomia, l’insoddisfacente risposta alla terapia parenterale e il
decadimento organico associato, fanno emettere una prognosi alquanto infausta ai
Medici Ospedalieri(viene ipotizzato
l’elevata possibilità di insorgenza di schock settico. Nonostante il tutto, il Medico di Medicina
Generale, il Medico Palliatore e il Medico Distrettuale sono concordi nel far
visitare la paziente dal Medico Nutrizionista, prima che venga
dimessa.
Dalla
visita si accerta che l’attesa di vita è primariamente condizionata dallo stato
di malnutrizione che dalla diffusione della malattia, oltre al necessario
fabbisogno energetico-proteico elevato indispensabile per la riparazione
tessutale.
Verificata
la possibile organizzazione domiciliare, la paziente viene candidata alla
terapia parenterale.
L’Operatore
Infermieristico referente e la figlia vengono convocati nel Reparto di Chirurgia
al fine di predisporre al domicilio quanto fabbisogna e per acquisire le nozioni
necessarie nella gestione del Catetere Venoso Centrale, della ferita e della
colonstomia.
Nella
rivalutazione secondo i criteri Vaor effettuata subito dopo la dimissione si
riscontrano: la perdita quasi completa dell’autonomia nelle attività inerenti
alla cura di sé, e in aggiunta agli item precedentemente definiti nell’area
dell’umore, l’abbandono di interessi nelle attività consuete.
La
sintomatologia dolorosa, è nettamente migliorata, ora solo localizzata in sede
addominale, di lieve entità e farmacologicamente controllata.
Verificata la
ben consolidata e persistente organizzazione familiare, vengono pianificate e
attivate visite domiciliari infermieristiche con accessi
pluri-giornalieri.
Il piano
assistenziale viene ulteriormente intensificato con la pianificazione dei
seguenti interventi: supporto psicologico e addestramento ai familiari per
affrontare le nuove problematiche, monitorare e curare la ferita addominale per
2° intenzione, controllo e gestione della colonstomia, corretta manipolazione e
medicazione del Catetere Venoso Centrale, corretta gestione della terapia
parenterale ed esecuzione di controlli giornalieri e periodici prescritti dal
Medico Nutrizionista.
Nell’Équipe,
inoltre, viene inserito il Geriatra, come Specialista competente nel trattamento
delle Lesioni Cutanee.
A causa della
contiguità esistente tra la colonstomia e la ferita chirurgica per seconda
intenzione, la necessità di una accurata igiene diventa preponderante, associata
ad un apporto proteico elevato necessario per la riparazione
tessutale.
Obiettivo primario è diventato quindi una
pronta pulizia della colonstomia unitamente ad una accurata medicazione della
ferita chirurgica, sostituendo la sacca frequentemente onde evitare
contaminazioni dell’attigua ferita.
La cute
perilesionale, lo stoma e la cute circostante venivano lavate con sapone neutro
ed acqua tiepida. Dopo l’asciugatura, l’applicazione della sacca veniva
effettuata con l’accorgimento di porre prima il collante della sacca sui lembi
cutanei esistenti fra la ferita chirurgica e lo stoma, al fine di separarli il
più accuratamente possibile per ostacolare il passaggio di liquidi
contaminanti.
Date le
dimensioni della ferita (cm 11x3x1.5 di profondità), la pulizia della stessa
veniva fatta con ripetuti lavaggi di fisiologica, l’asciugatura mediante
tamponamento con garze sterili ed infine occlusa con garze sterili e cerotto
ipoallergenico. Tale trattamento è stato praticato per 10 giorni, dopo di che è
stata valutata dal Medico Specialista.
Alla
valutazione la ferita si presentava detersa con bordi granuleggianti a medio
essudato siero-fibroso. Distalmente presentava due piccoli tragitti fistolosi
con presenza di essudato siero-purulento.
Il trattamento
locale prescritto consistette: lavaggi accurati della ferita e tragitti
fistolosi con Ringer Lattato, zaffatura dei tragitti fistolosi e tamponamento
del cratere con alginato di ioni calcio e sodio.
Successivamente
compariranno modeste escoriazioni sui margini della stomia che verranno trattate
con l’applicazione di
idrocolloide.
L’accurato
trattamento della ferita associato alla terapia parenterale altamente proteica
ha portato alla completa riparazione tessutale in circa settanta
giorni.
Previa
prescrizione del Medico Nutrizionista, il materiale necessario per la nutrizione
parenterale è stato totalmente fornito dal Dispensario Farmaceutico dell’Azienda
Sanitaria Locale.
La terapia
avveniva con l’utilizzo di sacche a miscelazione precostituita di 2000 ml
(apporto calorico di 2040 calorie die)
per una durata di infusione di quindici ore, sei giorni su sette. Per
garantire maggior autonomia alla paziente e per risolvere problematiche
organizzative si è optato per l’infusione notturna. Oltre alla corretta
applicazione della terapia parenterale e alla medicazione del catetere venoso
centrale, di notevole importanza è
stato il vigile monitoraggio
dell’eventuale comparsa di disturbi collaterali da parte dell’Équipe
Infermieristica, la più frequentemente presente al domicilio della paziente,
supportata da periodiche visite di controllo del Medico Nutrizionista e dal
Medico di Medicina Generale.
Dopo cinque settimane
dall’inizio terapia, il Medico Nutrizionista riscontra un sensibile
miglioramento dello stato generale, della lesione cutanea, del tono dell’umore e
degli esami bioumorali e ritiene indicata la prosecuzione di una blanda
integrazione calorica e proteica, con l’infusione della stessa quantità e
qualità di miscela precostituita a giorni alterni, per un ulteriore periodo limitato a
poche settimane. Giunto il termine del periodo prescritto viene rimosso il
Catetere Venoso Centrale ed inviato in Laboratorio Analisi per eseguire l’esame
colturale che risulterà negativo.
Si riscontra
inoltre, la discreta ripresa dello stato funzionale e nutrizionale rendendo ora
fattibile l’attuazione di interventi riabilitativi.
Il
conseguimento dell’autonomia nella gestione della stomia oltre al reinserimento
sociale rappresentano i traguardi da raggiungere.
La paziente
deve prendere confidenza con il proprio stoma, le sue caratteristiche,
accettando di imparare come applicarlo e gestirlo. In questo modo è più facile
giungere anche a delle modifiche dello stile di
vita.
L’insegnamento
deve procedere per gradi: la paziente passerà da una situazione di completa
dipendenza ad una progressiva autonomia; i successi vengono evidenziati e
sottolineati rinforzando l’approccio positivo.
Inoltre, è necessaria l’adozione di accorgimenti
dietetici. La dieta comporterebbe l’esclusione dei cibi e delle bevande
producenti gas ed una corretta masticazione.
Un approccio
positivo è comunque quello di non proibire aprioristicamente un elenco lungo di
cibi, ma piuttosto di permettere l’assunzione di piccole quantità per valutarne
il reale effetto.
Il costante e
attento affiancamento dell’Operatore Infermieristico e Familiare referente hanno
agevolato l’acquisizione delle procedure necessarie per il raggiungimento della
completa autonomia.
Particolare attenzione viene
rivolta inoltre, nel rilevare la presenza di dermatiti, anche se di lievi
entità, non devono essere mai sottovalutate. Infatti se le cause non vengono
rimosse , la dermatite non può che peggiorare provocando dolore e difficoltà
nell’applicazione della protesi.
Nella maggior
parte dei casi la correzione delle norme igieniche o la sostituzione del
presidio sono provvedimenti sufficienti a risolvere il problema, in casi più
gravi occorre ricorrere all’uso di prodotti specifici (creme, paste, spray) che
pur curando la lesione, consentono l’applicazione del
collante.
Breve
parentesi psicologica:
per quanto
riguarda l’aspetto psicologico parecchie sono le variabili che si sono sommate
sino a delineare un quadro francamente depressivo.
La presenza
concomitante di terapie mediche devastanti, di un livello di dolore fisiologico
decisamente alto e difficile da sopportare, un intervento chirurgico che ha
comportato una profonda alterazione dell’immagine corporea, hanno spinto la
paziente verso una stato
depressivo. A complicare notevolmente
la situazione, è intervenuta
la perdita improvvisa del figlio
trentottenne per Aneurisma Cerebrale
Vista la
gravità e la complessità della situazione, l’Équipe ha proposto l’eventuale
intervento di supporto psicologico dello Specialista, accettato dalla paziente, ma con molto
scetticismo. Importante è sottolineare come la paziente non sia mai stata a
conoscenza della reale gravità
della situazione clinica (questa per scelta dei familiari); questo dato di fatto
ha sicuramente limitato la portata dell’intervento psicologico, poiché non è
stato fattibile sondare e affrontare elementi: paure - dolore - perdita -
separazione - (sicuramente presenti nella paziente, anche se negati) che le
venivano rimandati diametralmente opposti dai componenti del nucleo
familiare.
Vista la
restrizione in questo ambito, il lavoro è stato svolto sul versante dell’elaborazione del lutto per la
perdita del figlio.
Lavorare su
questo aspetto ha ovviamente, significato entrare in dinamiche molto delicate,
la paziente, inoltre, non avendo specificato una particolare richiesta, ha
evitato per un gran numero di colloqui di entrare
nell’argomento
Analisi
dei risultati:
contrariamente
a quanto era stato pronosticato da più Medici, (cinque Équipe diverse) la
paziente ha sopportato e superato
discretamente le disastrose condizioni
cliniche.
Per il
raggiungimento dell’inaspettato risultato di fondamentale importanza è stata
l’assidua ricerca e attuazione di interventi specifici, adeguati e
personalizzati da parte degli operatori coinvolti, rendendo inevitabilmente
necessario il coinvolgimento, anche
se occasionale, di più Medici Specialisti
nell’Équipe.
Il numero degli
operatori è notevolmente aumentato come del resto l’insieme di competenze e di
responsabilità; ed unitamente alla gran combattività della paziente, e
all’attenta, vigile, completa
disponibilità e collaborazione dei membri familiari, hanno notevolmente
modificato quoad e qualitat vitam. Tutti gli interventi svolti dall’Équipe
multidisciplinare sono il risultato
di una nuova mentalità che non privilegia solo l’efficienza e il tecnicismo, ma
rappresenta un insieme di validi compiti e ruoli, anche quando non vi è la
possibilità di guarire. Inoltre, in conclusione, ne risulta basilare il non “dar mai nulla per
scontato”.
Elementi
fondamentali incontrati nel corso della
ricerca:
nessun piano
assistenziale domiciliare poteva essere realizzato per fronteggiare l’abnorme
problematica sanitaria se non fosse esistita la famiglia, con la quale l’équipe
ha instaurato un solido rapporto di cooperazione. La cooperazione è stato il
frutto:
di
un’efficace comunicazione con la famiglia dove i concetti di
bilateralità e di continuità nel rapporto hanno rappresentato la base ed il
supporto stesso. Informazione, comunicazione e supporto sono stati diretti in
primo luogo alla paziente: tale affermazione potrebbe sembrare pleonastica, se
non fosse reale o addirittura frequente il rischio di privilegiare il rapporto
con la famiglia, rispetto a quello con il paziente più spesso oggetto di
assistenza e di cure farmacologiche che di attenzioni e di dialogo. Tale
situazione, dovuta spesso all’atteggiamento protettivo della famiglia e al minor
coinvolgimento richiesto ai sanitari, porta a solidalizzare e a colludere con la
famiglia e può costare maggiore angoscia e isolamento al paziente che si sente
escluso anziché protetto dal contesto stesso che lo
assiste;
di
un’adeguata istruzione ossia l’aspetto
operativo pratico di insegnamento e di addestramento di quel familiare o di quei
familiari che si dedicheranno in prima persona all’assistenza della paziente:
somministrazione di farmaci, pratiche assistenziali (medicazioni, manutenzione
di cateteri, stomie ecc.), alimentazione, igiene personale, ecc. L’istruzione e
la stessa pratica assistenziale
saranno tanto più efficaci quanto migliori siano stati l’informazione, la
comunicazione ed il supporto alla famiglia;
oltre al supporto implicito nell’informazione e
nella comunicazione, a volte la famiglia può aver bisogno di un ulteriore
supporto psicologico e sociale: può essere quindi necessario l’intervento di una
figura professionale (psicologo) preparata ad affrontare i disagi psicologici,
emozionali o relazionali del sistema paziente-famiglia-sanitari
Per concludere,
mentre i costi globali dei servizi sanitari possono essere ridotti
dall’assistenza domiciliare, quelli della famiglia sono solitamente
incrementati, oltre al prezzo emozionale, per la continua presenza di un proprio
caro che soffre o per la mancanza di riposo. La malattia della paziente crea nuovi impegni per i familiari
deputati all’assistenza, limitando fortemente la loro libertà. Per tali motivi,
l’assistenza può divenire molto stancante
ed il desiderio di essere vicini e umani, può essere sostituito dal senso
di avere un compito molto oneroso. Se è molto facile pensare che i parenti
debbano prendersi carico a
domicilio del proprio caro, la loro dedizione a tale compito non deve essere
presa per garantita.
Se una società incoraggia l’assistenza
domiciliare , essa ha anche la responsabilità etica di assistere sia il paziente che i suoi
familiari. L’espressione tangibile di tale filosofia sarebbe l’espansione dei
servizi di Assistenza Domiciliare Integrata, del Servizio Cure Palliative e la
previsione di finanziamenti pubblici per i familiari che assistono un proprio
parente.
Bibliografia
- Bonadonna G,
Robustelli Della Cuna: Medicina Oncologica, 5° edizione 1994.
Ed.Masson
-
Benciolini
P, Viafora C.: Etica cure palliative, Cic Edizioni
Internazionali
-Testi delle lezioni del 2°
Corso di aggiornamento per Infermieri Professionali “Assistenza Domiciliare a pazienti oncologici
in fase avanzata e terminale” tenutosi presso Ospedale Niguarda Ca’ Granda
Milano
-Azienda U.S.S.L. n. 8
Merate (Lc) “Le cure domiciliari nella rete dei Servizi per gli anziani ed i
malati inguaribili”.
-Bernabei R., Landi F., Manigrasso L., Sgadari A.:RAI -HOME CARE VAOR-ADI. Cattedra di Geriatria, Istituto di Medicina interna e Geriatria Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.