Testimonianza di un pestaggio
Sono arrivato a Genova al mattino di Venerdì 21
Luglio con un autobus proveniente da L’Aquila.
Avrei dovuto unirmi nella mattinata di Venerdì
ai medici e agli infermieri volontari del Genoa Social Forum
Dopo aver salutato i miei compagni di viaggio
mi sono diretto da solo alla scuola media Diaz in Via C. Battisti come da
accordi telefonici con una delle coordinatrici del servizio volontario sanitario
avvenuto qualche giorno prima.
All’ingresso della scuola ho incontrato Monica
intenta ad allestire un furgone-ambulanza.
Con lei sono salito al piano ove da una
parte c’era il media center, un salone pieno di attrezzature elettroniche
(macchine fotografiche, computer, telecamere), dall’altra una sorta di centro di
reclutamento di medici ed infermieri volontari provenienti da tutta
Europa.
Ricordo oltre a Monica, infermieri colleghi di
Roma, Genova e medici di Bologna, Genova, Roma.
In questa sala abbiamo riempito i nostri
zainetti con materiale sanitario vario come farmaci (Adrenalina, cortisonici,
broncodilatatori, fleboclisi) ed attrezzatura adatta a situazioni d’emergenza (
pallone di Ambu, cannule di Guedel, lacci emostatici).
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Monica quindi ci ha divisi in gruppi ed
ha poi assegnato ogni gruppo ad una zona. Ricordo una delle sue indicazioni che ci
invitavano ad intervenire su tutte le persone che ne avessero avuto
bisogno, manifestanti o poliziotti. Del mio gruppo ricordo i medici genovesi
Domenico e Michele che si riveleranno poi fondamentali per l’esito della
mia avventura, ricordo poi un infermiere genovese che, come me, ha
trascorso un periodo della sua vita professionale come volontario in
Somalia. Ricordo poi un infermiere di Roma,
abbastanza piccolo di statura, dall’accento forte, molto simpatico e
cordiale. Ricordo infine i due “occhi”, come si
facevano chiamare: mi riferisco ai due ragazzi di Indymedia, un tarantino
ed un romano che avevano il compito di filmare e fotografare ogni atto del
nostro gruppo sanitario. |
A mezzogiorno circa eravamo in Piazza Paolo da
Novi e qui abbiamo deciso di disporci sui due lati della piazza in modo da
poterne avere un controllo migliore.
Io insieme ai medici genovesi ed all’infermiere
romano ci siamo sistemati accanto ad una aiuola sul lato lontano della
piazza.
Sullo sfondo ci era possibile vedere i
manifestanti dei Cobas che arrivavano per dare inizio alla manifestazione
(Piazza da Novi era un luogo tematico dedicato al lavoro) ma quello che più ci
incuriosiva era il fare silenzioso di un centinaio di giovani che al centro
della piazza preparavano armi da tutto quello che trovavano: pietre, mazze di
ferro, etc. La polizia distante una cinquantina di metri, schierata in assetto
da carica, assisteva alla sconcertante operazione senza muovere un passo.
Questa sorta di preparazione alla guerra da
parte di questi giovani che ho poi saputo appartenere al famoso “Blocco nero”, è
durata circa un ora; io stesso ed il ragazzo di Indymedia che era al mio fianco
siamo stati ad un certo punto apostrofati aggressivamente da uno di loro il
quale voleva impadronirsi della macchina fotografica che lo stava
fotografando.
Intorno alle tredici ebbero inizio gli scontri
ed al lancio di pietre in direzione della polizia da parte delle tute nere,
questa rispose con la prima carica seria.
Ricordo che nonostante avessi le braccia alzate
e gridassi “Sono un infermiere!”, un poliziotto mi ha immediatamente aggredito
colpendomi al viso con il manganello e poi ancora alla nuca, alle braccia, alle
gambe.
Presto furono in tre sopra di me ed a nulla
servivano gli inviti che provenivano da tutt’intorno a non toccare il personale
sanitario o l’enorme quantità di sangue che perdevo dal naso e dalla testa: la
loro violenza era così selvaggia che sembrava inarrestabile.
Un ‘ambulanza del 118, accorsa poco tempo dopo
l’aggressione , mi ha portato all’ospedale Galliera; con me c’erano Domenico e
Michele, due medici uno dei quali feriti all’arcata sopraciliare, ed un ragazzo
di Indymedia, pestato come noi ma senza segni evidenti sul corpo.
In Pronto Soccorso sono stato suturato con sei
punti alla nuca e due al naso e come da referto radiologico al numero di
registro 15923, mi è stata diagnosticata una frattura delle base delle ossa
nasali proprie con indicazione dell’Otorinolaringoiatra all’intervento
chirurgico.
Chiaramente non ho accettato di
effettuare l’intervento a Genova nonostante l’urgenza, riproponendomi di
risolvere la situazione appena di ritorno a Pescara. Quello che è successo poi ha, secondo me,
dell’incredibile e ne porto tutt’ora i segni se considero che non riesco
più a dormire una notte senza incubi, vivo in uno stato di perenne
allarme, ricordo con frequenza quei momenti terribili senza poterne fare a
meno. Uscito dal Pronto Soccorso mi sono subito
reso conto che era praticamente impossibile allontanarsi da lì: arrivavano
notizie di tremendi scontri, le ambulanze continuavano a portare feriti,
le auto della polizia andavano e venivano freneticamente. Ho avuto modo di conoscere lì davanti
tante persone e tante storie più o meno tragiche ma comunque accomunate da
una violenza spesso esagerata delle forze dell’ordine. Intorno alle 18, è cominciata a girare
voce che di lì a poco sarebbero venuti ad arrestarci; il ridicolo teorema
della polizia doveva essere: ogni ferito è un contestatore che ha
partecipato agli scontri quindi è un individuo pericoloso che va tenuto in
stato di fermo. |
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Avevo nel frattempo rilasciato dichiarazioni di
fuoco sulla polizia ai giornali ed alle televisioni, avevo parlato di
ingiustificato pestaggio di un infermiere al lavoro, avevo dichiarato la mia
intenzione a sporgere denuncia e per tutto questo immaginavo che se fossi stato
portato in caserma, sarei stato sottoposto a sicure intimidazioni.
Avevo paura, non volevo essere preso da loro,
volevo scappare da lì, con ogni mezzo.
Mentre mi arrovellavo il cervello per cercare
possibili vie di fuga, vidi parcheggiata vicino alla porta del Pronto Soccorso,
un’auto di una importante televisione che oggi taccio per evidenti motivi di
discrezione.
L’ideazione del piano e l’azione sono stati
immediatamente conseguenti: in un batter d’occhio mi sono ritrovato nella
macchina con il giornalista al posto di guida; a lui ho raccontato velocemente
le storia e l’ho pregato di
portarmi via.
Devo dire che questo, dopo essersi consultato
velocemente con una collega, non ha opposto alcuna resistenza ed in silenzio mi
ha condotto lontano evitando polizia e carabinieri ai posti di blocco.
Sono arrivato finalmente a Piazzale Kennedy
dove si stavano riunendo nel frattempo tutti i manifestanti e questo per me era
motivo di sicurezza: mi sentivo a casa dopo una fuga davvero pericolosa.
Ho visto Agnoletto, ho sentito Bertinotti, ho
incontrato alcuni compagni di Sambuceto (CH) i quali mi sono stati vicino sino
al momento della partenza, il giorno dopo.
Il problema effettivamente era a quel punto la
mia posizione giudiziaria: dovevo considerarmi in stato di fermo e quindi
latitante dal momento che i miei compagni feriti erano stati tutti arrestati ed
io invece ero fuggito?
E se ero latitante, avrei dovuto
continuare a nascondermi sino all’arrivo a Pescara? Se invece ero un uomo libero, perché i
miei compagni, nella mia stessa condizione, erano stati arrestati? Continuavo ad avere paura anche se la
vicinanza dei compagni ritrovati mi metteva dell’umore giusto per
affrontare la notte ed il giorno successivo della grande
manifestazione. Il giorno dopo abbiamo deciso che sarebbe
stato meglio che io fossi andato alla manifestazione anche se le mie
precarie condizioni fisiche sembravano impedirmelo. |
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Era meglio non restar soli.
Alla manifestazione mi sono trovato di nuovo in
mezzo agli scontri sul lungomare ma devo dire di essere stato abbastanza
fortunato dal momento che sono subito riuscito a trovare una via di fuga e fare
rientro senza particolari problemi, alla pensione Don Orione dove ho aspettato
sino alla partenza del treno speciale che mi ha riportato finalmente a Pescara.
Il Lunedì successivo sono entrato in Ospedale
ed il giorno seguente sono stato operato al naso; l’intervento è consistito in
una riduzione della frattura ossea.
A tutt’oggi non conosco la mia posizione
giudiziaria, non so se ho vissuto due giorni da latitante o da uomo libero
semplicemente impaurito.
Nessuno, né tra le forze dell’ordine, né tra le
autorità della politica me lo hanno fatto sapere.
Le foto sono tratte da INDYMEDIA
Pagina Pubblicata il 01/09/01