Al Teatro dell'emergenza
Lemergenza
sul territorio è uno di quei momenti in cui linfermiere
accetta, suo malgrado, di rendere visibile il suo operato ad un
mondo straniero alle professioni sanitarie, una realtà variegata
che produce giudizi e comportamenti a volte esagerati,
schizofrenici, addirittura dintralcio.
Come a teatro, lattore-infermiere recita in strada la sua
parte a memoria con enfasi moderata ed immedesimazione.
Come a teatro, il pubblico acclama o disapprova fischiando,
abbandonano schifato la platea o sorride compiaciuto per la
bravura degli attori, per la profondità del testo.
La strada e il traffico impazzito, il quinto piano del
palazzo senzascensore, la campagna assolata, la fabbrica e
lomertà dei lavoratori impauriti che non sanno mai nulla
sullinfortunio accaduto al collega, la scuola e gli
studenti curiosi ed un po strafottenti, sono tutti luoghi
deputati, spazi scenici, teatri di lavoro
dellattore-infermiere.
La paura di non arrivare in tempo, di commettere un errore
fatale, lansia che un pubblico sempre troppo esigente
genera, lattenzione alla scena ed alla possibilità che
questa evolva con imprevisti in situazioni ove lavorare-recitare
diviene improvvisamente pericoloso per tutti, la concentrazione
per governare la fatica, l'ideazione confusa di atti rivolti a
scongiurare la morte... la morte appunto, la continua sua
presenza dietro le quinte se non piuttosto spudoratamente già in
scena con in mano il cranio senza vita dello sfortunato
"utente" ed intorno sangue, sangue, sangue. Tutto
questo è nellanimo dell infermiere-attore, ne
costituisce il bagaglio professionale nel senso che determina
fortemente il suo comportamento e, perché no, la sua vita oltre
il lavoro, i suoi assunti filosofici sullesistenza, sulla
vita, sulla morte, sulla guerra, sulla fame nel mondo.
O forse sarebbe meglio dire che tutto quanto sopra cagiona il MIO
comportamento, è causa della MIA posizione sulle cose che
accadono nel mondo?
Diciamo allora: IO, infermiere-attore ho assistito al mutare
della mia vita recitando al teatro dellemergenza.
Ricordo le antiche esperienze in luoghi privi di pubblico,
reparti dospedale ove tutti gli attori prima di recitare
pretendevano che gli spettatori abbandonassero il teatro: "I
parenti sono pregati di accomodarsi fuori, grazie."
Che senso ha per un attore non condividere con gli spettatori il
suo spettacolo?
E certo che le regole vanno rispettate ma dice il Nobel
Dario Fo: "Lunica regola a teatro è che non esistono
regole".
Non sempre la professione diviene arte ma quando ciò avviene,
voglio dire, quando la professione cerca di umanizzarsi, quando
gli attori lavorano solo per il pubblico e non per sé stessi,
allora le strade, gli spazi, i territori, i reparti
dospedale, le sale operatorie, le unità di terapie
intensive, divengono teatri.
"I parenti sono invitati a restare, vorrei somministrare
questo farmaco al vostro congiunto. Ho bisogno di silenzio e
concentrazione, le sue vene non sono facilmente reperibili.
Grazie".
Ma che eresia è questa?
Una follia, unautentica follia.
"Lospedale non è un teatro!"
Cosè lospedale? E un luogo di sofferenza, di
morte o è un luogo di vita, di guarigione, di corsa verso la
salute.
Ho lavorato molto tempo al chiuso delle stanze di degenza, al
silenzio sterile imposto dal luminare in visita che leggeva
serioso la cartella clinica accendendo attimi di preoccupazione.
Ho lavorato molto tempo con la vita scandita dalle ore di un
orologio padrone: "ore 6 prelievi, ore 7 colazione: latte ed
orzo o solo latte o solo orzo, ore 8 terapia orale, a seguire
terapia endovenosa..."
Ricordo la rigidità del personale rispetto a quei tempi come
anche agli spazi: "sala medicazione, sala spogliatoio, sala
medica, sala infermieri, sala..."
E poi ancora."ore 22 spegnere la televisione, ore 24
accendere luci notturne, ore1 controllare che il paziente dorma,
ore..."
Ricordo una prigione non un teatro, ricordo la mia attività di
controllo piuttosto che la possibilità di recitare-agire un
copione-protocollo di fronte ad un pubblico, senza orari, senza
muri, senza padroni.
Ma che eresia è questa?
Una follia, unautentica follia.
Ricordo quale infermiere ero tanto tempo fa: un anonimo omino di
bianco vestito con tante penne colorate in tasca ed un paio di
zoccoli di legno scomodi e rumorosi. Se non altro mi facevano
più alto ed aitante.
Ricordo che ignoravo larte dellattore, la
possibilità di condividere con un pubblico forti sensazioni in
condizioni critiche, la possibilità di pattuire manovre cruente
al fine di renderle meno traumatiche.
Ricordo che eseguivo mansioni non conoscendo il significato di
professione, di arte.
Oggi ho mutato il mio essere infermiere, sono divenuto attore e
lavoro al teatro dellemergenza.
Un attore conosce bene la sua parte, per non dimenticarla usa
organizzarla in protocolli operativi che tuttavia non dimentica
mai di usare con buon senso; un attore rispetta il suo pubblico,
ne ha quasi una venerazione e si muove con estrema eleganza,
circospezione, equilibrio.
Un attore usa il tempo a disposizione non come fosse una
condizione assoluta e immutabile.
Un attore è un infermiere un po eretico e forse per questo
può recitare la sua parte ogni giorno senza paura di morire di
alienazione.
Gli attori non muoiono mai!
LORENZO MARVELLI
VERITA' GLOBALE NEL MONDO....
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