MANI Di Lorenzo Marvelli
e
On Line
il sito ufficiale dello spettacolo teatrale Mani |
Ecco il TESTO
DEFINITIVO di "MANI", nato da una notte di parole tra noi
eretici, cresciuto dalla fantasia di Lorenzo ed Ilaria, arricchito dagli spunti
di tutte le persone che ci hanno scritto. Proseguiamo così quello che per noi è
un nuova strada, il percorso del "TEATRO FORMATIVO". L'esperienza positiva della
messa in scena di "Morte di un Musicista
blues" alla Convention ci
ha suggerito di seguire la strada formativa teatrale, agita oltre che
verbalizzata, per trattare argomenti spesso dimenticati ma secondo noi centrali
nell'assistenza infermieristica e nei rapporti umani. Mani è un copione
emozionante, carico di sensazioni non solo tattuli. Verrà
presto messo in scena, abbiamo stilato un calendario, poichè è davvero giunto il tempo di uscire da Internet per iniziare ad entrare
nelle coscienze.
Infermieri
Eretici
SCHEDA DELLO SPETTACOLO
|
Soggetto: Lorenzo Marvelli, Ilaria
Cappelluti Regia: Federica Vicino, Giampiero Mancini Con: Ilaria Cappelluti, Massimiliano De Leo, Giampiero Mancini, Lorenzo Marvelli Anno: 2001 Produzione: P.A.A.C. (Produzioni Artistiche di Autori Contemporanei), Pescara (E mail) Distribuzione: P.A.A.C. e ECAM - Laboratorio Teatrodanza. Note: spettacolo vietato ai minori di 18 anni |
SINOSSI |
essere "adeguati alla realtà": essere
educati, belli, sani. Questo impone la nostra cultura occidentale. Questo
è l'essere umano civile, secondo i canoni entro i quali è stata stabilita
la nostra idea di civiltà. Un'idea da perseguire ad ogni costo...anche a
costo di imporla. Siamo partiti da questo presupposto per mettere insieme un canovaccio teatrale che avesse la capacità e la forza di mettere a nudo quei soprusi e quegli abusi che il perbenismo comune nasconde sotto le mentite spoglie del conformismo. Ci siamo serviti di documenti e testimonianze (alle volte agghiaccianti) che raccontano il come e il perchè di alcune forme di malattie mentali e le relative tecniche di cura. Il lavoro teatrale che ne è derivato ha una indiscutibile matrice di fisicità: tema centrale è il tatto. Titolo: "Mani" Mani che indifferentemente toccano, accarezzano, picchiano, guariscono.... |
Buio. Urlo. Colpo di pistola.
Luce: la donna è a terra, l’uomo osserva nervosamente la
pistola.
Silenzio, silenzio!
Queste mani hanno ucciso per il sangue, sia di monito a
tutti il sangue.
Soldati, queste mani hanno procurato il sangue per
voi.
Soldati, dove siete?
Io vi sento... là... e di là pure: dietro i corpi
accatastati e
destinati al macero, tra il fumo fetido dei bambini
cadaveri.
Soldati, soldati, soldati!
Adunata, dico! Subito, tutti qui... per il sangue versato,
per le
cataste di carni marcescenti e...
(rivolto alla donna) e tu, tu maledetta, per colpa tua io
ora... tutti
via per te... codardi... tu sei stata...
Tu sei stato già Dio! Dio ed origine di tutto questo
sangue, Dio delle
carneficine, Dio padrone e vendicatore, Dio della vita e
della morte,
non c’è differenza per te.
Eppure sei stato anche...
Oh, no, no! Tu sei stata, tu sei stata...
Maledetta ribelle, guardali gli occhi vitrei dei tuoi
fratelli morti, la
cerea fissità della fine, guarda i vermi che mangiano le
loro carni.
Come hai potuto... donna sanguinaria.
Non attribuire a me ciò che tu hai causato. Ti sarebbe
bastato così poco
per evitare tutto questo.
Ma sarebbe stato chiederti troppo.
Orgoglio di donna, ferita inguaribile dell’animo che si
dice gentile,
nuvole grigie che incombono, epidemia di peste che non
risparmia
nessuno: ho visto correre gente impazzita perché contagiata
dal morbo,
ho visto implorare aiuto con occhi che piangevano sangue,
in ginocchio
ai tuoi piedi.
Intorno grida, lamenti, dolore... tutto all’altare della
tua
indifferenza, tu simulacro di peste, tu simulacro di
morte.
Come hai potuto... donna sanguinaria!
Tu, anarchica... tu, mai accondiscendente... tu, pazza
rivoluzionaria...
Tu sei stata...pazza, pazza, pazza!
Tu sei stato già mio padre! Mio padre, ricordi?
Mio padre... alla casa alla pineta: si vedeva il mare dalla
finestra,
non dalla mia stanza, non aveva finestre la mia
stanza.
Le aveva il tuo studio però, tu il mare lo vedevi dalla
finestra.
Mamma ti aveva chiesto di occuparti di me, era all’ospedale
a partorire
l’ennesimo figlio, ricordi papà, il piccolo morticino nella
bara bianca?
Io lo vedo lì... guardalo anche tu... è lì papà, lo vedi?
Marcisce
insieme agli altri nel mucchio, il volto tumefatto raccolto
nella
cuffietta bianca, gli occhi ancora aperti che implorano
pietà... li vedi
gli occhi? Ci chiedono di risparmiargli il dolore, ci
chiedono perché lo
abbiamo fatto!
Stai zitta, cosa dici, sogni a voce alta, stai zitta, il
tuo delirio non
servirà ad affrancati dalla morte.
Ho sempre creduto che fui io la causa di quella morte.
Non riuscii a piangere di fronte alla bara, troppo grande
la colpa che
mi portavo dentro.
"Non sei stata una brava bambina", ricordi papà?
Io continuo a sentirle le tue parole e per questo non
riesco a piangere.
Dovevi portarmi a scuola, te lo aveva chiesto la
mamma.
La mamma... io non sono quello che tu credi che io sia...
non riuscirai
a salvarti sollevando il fumo della compassione: tu sei
come tutti quei
corpi ammucchiati...
Non ci andai a scuola!
Vedevo il mare dalla finestra: in estate c’erano i bambini
a giocare, mi
pareva di sentirne le voci, i piccoli traffici, mani
delicate all’opera,
mani incapaci di ferire, mani innocenti che cercheresti al
contatto,
piccole gioie di mani che si danno a vicenda.
(Guardandosi le mani) Le mani? Cos’hanno le mani?
...e il mare. Attraversando una strada senza pericoli, in
definitiva
pochi metri e subito la spiaggia, il chiosco con le granite
alla menta
ed al limone ed un’infinità di colori che le mie mani non
hanno mai
potuto toccare.
Non volevi che andassi lì, a giocare con gli altri bambini,
il tuo
divieto era secco, perentorio, senza nessuna spiegazione,
non volevi
tornarci più, il tuo "No!" era definitivo, nessuna
preghiera, nessuna
intercessione.
Non ci andai a scuola quella mattina.
Eri così, una sola parola. L’unica.
Imparai subito ad immaginarli i miei giochi, a vederli
dalla finestra,
sulla spiaggia, lontani dalle mie mani: il piacere del
tatto negato,
mani sudate che si toccano nervosamente, mani poggiate sui
vetri della
finestra, immobili e lontane da altre indaffarate e
gioiose.
Perché non mi portasti a scuola quella mattina?
Papà!
Soldati, soldati, avanti fuori dai nascondigli, ho ordinato
l’adunata!
C’è da fare pulizia... sangue, cadaveri dappertutto.
Soldati!
Via questa donna, via prima degli altri!
Lei farnetica,
imbroglia... (tra sé) cos’hanno le mani.
Soffocate questo suono di peste, squilli che ammaliano,
voci che
imbrigliano, mani che mischiano...
(Rivolto a lei) Non ti sento sai, non ti sento!
Sei morta tra i morti, marcisci come tutti ormai.
Lo senti l’odore del sangue?
Toccalo il sangue sulle mie mani!
Guardale queste mani!
Le senti addosso ora, toccale mentre ti toccano!
Sì, così... voglio sentirti patire il contatto, voglio
sentirle tremare
e bagnarsi di paura.
Papà, eccole le tue mani. Eccole!
Non hai capito, non hai mai capito!
Queste mani ti accarezzavano e tu soffrivi, piangevi come
fossero
schiaffi ed erano solo carezze... sono carezze, le
vedi?
Non è vero, ne sento il peso, il dolore... la
vergogna!
Smetti di guardarmi così, potrei tirarti uno schiaffo,
smetti di
piangere, non lo sopporto.
Piangevi per quelle insignificanti goccioline di sangue
sulle lenzuola.
...insignificanti... come
puoi, papà!
Non è niente bambina mia, è
una cosa che ti ha chiesto papà... tu vuoi
bene a papà, no?
Lasciami giocare, papà vuole
giocare con te, lasciami toccare, stai
ferma e... zitta.
Non sei stata una brava
bambina!
La mamma soffre in ospedale
e tu sei così cattiva, vuoi che papà si
arrabbi?
Smetti di piangere....
zitta!
Come puoi, papà...
La mamma non c’è e papà
vuole bene solo a te.
Ci sei solo tu e nessun
altro.
Non far soffrire la mamma,
stai ferma, dammi la manina... dammela ti ho
detto!
Ecco, tocca qui, tocca:
senti come ti vuole bene papà?
La mamma non c’è e papà ha
bisogno di te, ti vuole bene papà.
Ma cosa hai fatto?
Hai fatto pipì sul letto,
hai bagnato tutto, ora papà si arrabbia...
anzi sai che facciamo?
Se stai buona e non dici
nulla, ci pensa papà alle lenzuola: tu stai
zitta e la mamma non lo
verrà a sapere.
Non dire nulla!
(Rivolto ai soldati) E voi,
soldati... non dite nulla e fate sparire
tutto in fretta. Il sangue,
i cadaveri, pulite tutto qui intorno!
E togliete lei prima di ogni
altro. Forza soldati...
Tutto quel sangue... "non
accendere la luce, mi vergogno".
Piangevo perché avevo sporcato mentre mamma era in ospedale.
Tu eri arrabbiato per
questo, così credevo, perché avevo sporcato.
"Non accendere la luce,
papà, mi vergogno!"
Non soffrivo le tue mani, mi
toccavi con quelle mani grandi, ruvide,
pesanti, le tue mani sui
miei polsi per impedirne il movimento, la
difesa, la tua mano sulla
mia bocca per impedirmi di gridare o solo di
respirare ma io non le
sentivo più le tue mani, piangevo per il sangue,
il sangue sul letto, sapevo
che c’era, percepivo il suo viscido calore
sotto la schiena: era buio,
non volevo la luce, meglio la morte che la
vita, la mamma ne sarebbe
morta, il bambino che stava nascendo ne morì.
Non fu colpa mia, non fu
colpa mia!
Lo toccò, mia madre. Lo
sentì freddo, già morto e portò le mani sul
volto per disperarsi.
Aveva toccato la morte di
suo figlio ed ora le fissava in lacrime quelle
mani.
Tu toccavi me mentre lei
toccava il figlio morto.
Lo vedi là, tra i cadaveri
accatastati?
Loro non c’entrano!
Non dimenticare quegli
occhi: ci imploravano aiuto e noi eravamo a casa,
sordi a quei lamenti perché
affaccendati a toccarci.
Quanto furono responsabili
le nostre mani!
Ed il sangue!
Il sangue di mio fratello
schizzò fino alle lenzuola, il fiotto di quel
cordone ombelicale così
malamente reciso raggiunse il letto dove le mie
mani tenevano strette le
tue... mani colpevoli, mani sporche.
Quanto furono responsabili
le nostre mani!
Chiediglielo papà,
chiediglielo: è là, lo vedi?
Come posso farlo! Loro non
c’entrano, loro non c’entrano!
Lo strano destino delle
mani: mani violente, mani violate, mani
violacee, mani di morte, di
sorte, mani che si ammanicano, si
ammucchiano, si
ammassano.
Per contatti infelici, per
il sangue versato.
Nel letto di mamma.
Nel letto di morte.
Papà che hai fatto!
Papà che abbiamo fatto!
Cosa ho fatto...
Abbiamo, papà,
abbiamo...
...piccolo...
E innocente...
...mio figlio...
E’ morto!
...morto...
Lo abbiamo ucciso...
Lo vedi...è lì. In mezzo
agli altri, papà.
(Rivolto ora ai soldati ora
alla donna come agendo una doppia
personalità) Non ti sento,
non sento e quel corpo che tu indichi è morto
come gli altri, sono tutti
uguali i morti, la tua peste non risparmia i
bambini, il vento
dell’infezione è sordo ai vagiti e fa carneficine
soffiando violento nelle
strade, nelle case, nei nascondigli di
fortuna... non c’è pace, non
c’è pace, vero soldati!
Soldati, via lei prima degli
altri ho detto, non fatevi incantare, lei è
donna e possiede l’arte
dell’ammaliare: sa offrirti una mano e mentre
attendi una carezza ecco che
con un atto fulmineo t’afferra il cuore e
lo spreme lentamente per
raccoglierne il succo con il quale prima o poi
spegnerà la sua sete.
Lei è donna e cagiona
malattia, peste: sorridi al calore della sua
vicinanza ma nulla puoi
quando questo muta in fuoco per bruciarti le
carni, arrostirti,
incenerirti!
Lei è donna ed ha mani
lisce, dita affusolate, smaltate all’estremità,
taglienti come artigli di
aquila.
Queste mani invece hanno
lavorato sodo, guardate i calli... mani
consumate dalle fatiche,
mani che non cambiano, non truccano: mani
grandi ma sincere.
Mani di Dio, mani di
padre.
Mani di sangue?
Forse... ma ogni atto ha un
tributo.
Lottare contro la peste vuol
dire scoprire il male che si nasconde
dietro angoli
insospettabili, vuol dire intimare inutilmente a quella
bestia di fermarsi e poi
lanciarsi all’inseguimento evitando macerie,
corpi già morti, cumuli
d’immondizia che bruciano e finalmente
costringerla, spalle al
muro, davanti i suoi occhi che sembrano
piangere, implorare pietà
sino a farti straziare il cuore, sino alla
soglia del perdono...
E’ subdola la peste, piega
il suo capo sulla spalla, ammicca, sorride,
ti tende la mano, la
tensione ti abbandona, vorresti quasi abbracciarla
ma sarebbe la fine.
Ed allora il bene si sporca,
l’amore diviene passione e si tinge di
rosso, piacere e dolore
possono fondersi in un unico tatto, mani di
santi e mani di demoni. Un
unica cosa, un unica cosa!
Toccavo con diritto di
padre, vero soldati!
Prendevo ciò che era mio, eh
soldati!
Ti osservavo alla finestra.
Guardavi il mare, guardavi sempre il mare.
In silenzio.
Ed io, dietro, guardavo i
tuoi capelli raccolti nella treccia tenuta da
un grande fiocco
bianco.
Dietro. Osservavo le tue
piccole spalle magre, le gambe nude infilate
nei calzini di lana
afflosciati sulle caviglie.
Piccola ed infreddolita:
strofinavi le mani e ci soffiavi caldo dentro.
Provavo a chiamarti.
Silenzio.
Guardavi quel mare maledetto
mentre io ammalavo di peste, mentre il
calore diveniva fiamma,
mentre la pelle trasudava liquido bollente,
mentre il cuore accelerava
la corsa.
Impossibile guarire,
impossibile non morire di quel silenzio che
accendeva i miei sensi.
La peste, capisci, il germe
originava da te ed infettava i miei organi.
No, non potevo lasciarti
andare sulla spiaggia, era così freddo fuori.
Dovevo proteggerti, tua
madre me lo aveva così raccomandato.
Avevo voglia di stingerti,
volevo sentirti vicino, volevo esserti
vicino.
Non potevo lasciarti andare
sulla spiaggia, anzi, lascia perdere la
scuola oggi, stiamo
insieme.
Dicevo queste cose convinto
che tu non le sentissi neanche... continuavi
a voltarmi le spalle.
Io questo non lo sopportavo,
non potevo permettertelo, no non lo potevo
assolutamente, dovevo farti
capire che c’ero e che tu... m’appartenevi,
tutto in quella casa
m’apparteneva... vero soldati? Tutto
m’appartiene... il potere
nelle mie mani... toccatele queste mani!
Amore mio, tu non capivi.
Non mi ascoltavi, ero dietro di te.
Guardavi il mare dalla
finestra, il mare ti allontanava sempre più da me
e... prima o poi saresti
cresciuta e saresti andata via.
Non potevo permetterlo, non
potevo permetterlo... amore mio!
Chiami amore la donna che
hai appena ucciso?
Ti ho toccata, prima!
Ti ho tenuta stretta e non
capivi.
Maledetta quella finestra,
maledetto il mare, l’acqua, la sabbia...
Maledetta la peste, la peste
che appesta, che innesca processi, processi
indefessi e s’impossessa del
ventre mutandolo in otre ricolmo di melma,
di mamme ammalate, di mummie
ammuffite, di mostri macerati... la peste
Soldati, soldati!
Tu sei
stato già mio amico fedele.
No, padre piuttosto
Non solo! Non solo!
Credevo un uomo diverso,
così credevo.
Come sei brava a saltare di
palo in frasca!
Un isola tranquilla nel mare
che guardavo dalla finestra.
Così credevo...
Attraversare la strada di
corsa, a piedi nudi sulla spiaggia rovente ed
in acqua, per
raggiungerti.
In un luogo lontano da
lui.
Un isola piena di speranza,
una casa con tante finestre, piena di luce
ed io, donna
ultracentenaria, donna giovane macchiata di colpe, io
finalmente impegnata a
toccare senza sporcare le mani.
Le mani e le piccole cose
giornaliere: mani che carezzano petali di una
grande margherita, mani che
spolverano pagine di libri ammuffiti, mani
che ridanno forma ad un
cuscino, mani che intrugliano acqua, lievito e
farina, mani che
imbandiscono la tavola da pranzo: ti aspettavo così
quando eri al lavoro.
Mani che attendono, mani
felici, mani che credono d’aver dimenticato!
Ho creduto allora
nell’esistenza di mani diverse: le tue.
Mani che cercano il
contatto, mani che condividono, mani bianche e
carezzevoli.
In definitiva ho capito che
può esserci sangue anche dietro un tatto che
si offre a medicare un
dolore!
Certo: conforto, piacere,
profumo...
All’inizio!
Mani subdole, mani che
imbrogliano, mani manipolatrici che presto mutano
la lacrima di gioia in
lacrime di sangue.
Amico... mi dicesti!
Il tuo genere violento
indossava abiti da clown sebbene la laurea in
filosofia ti conferisse un
aspetto assai serio, una credenziale per me.
Io che avevo vissuto la casa
alla pineta, io che avevo vissuto mio
padre.
Mi raccogliesti per strada
come una roba vecchia, già vecchia nonostante
gli anni.
Mi offristi le tue mani:
bianche, lisce, profumate.
Accettai quel contatto, mi
sollevai e mi offrii io stessa.
Fiduciosa, pronta a
dimenticare lui ed a ripartire da capo.
Con te!
Ecco appunto!
Era un bel toccarsi: senza
sangue, senza dolore.
Ogni mano si dava preceduta
da una parola dolce, da un sorriso, da uno
sguardo rassicurante.
Oh, sì... era un bel toccare
quello ed era bello scoprirsi in quel
modo... attraverso le
mani.
Falsa, falsa quella
religione!
Anche Dio sa essere falso
come i demoni che dice di combattere.
Scoprii presto la verità
delle mani.
Anche un tatto proposto come
lo fu il tuo, può generare violenza,
dolore, sangue e lo fa in
modo assolutamente subdolo, strisciante come
lo è lo strisciare di un
serpente su un corpo ignaro e sognante.
L’isola che abitavo piena di
speranza, divenne presto una prigione che
tu, ragazzo gentile, ragazzo
filosofo, presidiavi sorridendo,
ammiccando, trasecolando di
fronte ad i miei iniziali sospetti e
soprattutto sgusciandomi
addosso, leggero ma diffusivo come una massa
tumorale sino a che le mie
mani percepirono le tue come nemiche.
Falsa, falsa quella
religione!
Di nuovo sangue sulle mani,
ora me ne appare il rosso inconfondibile,
l’odore acre che permeava
l’aria, alla casa alla pineta...
Tu come mio padre, identici
nel genere anche se così diversi, rossi come
il sangue, demoni o dei,
maestri nel violare toccando, sfiorando.
Mani violente...
(Ancora con doppio
registro)
Ma che fai, perché mi
allontani ?
Adunata!
Guardami ti prego, non può
finire così.
Dove siete, soldati... i
cadaveri marciscono e la puzza tutt’intorno...
Cosa ti sei messa in testa,
io non sono come tu credi.
Il sangue, il sangue...
Non devi considerarmi come
tuo padre, lui sì che ti ha fatto del male...
io ti ho dato tutta la mia
vita, pieno di premure, attento a non
riaccendere i brutti
ricordi; tuo padre, lui sì che merita il tuo odio
ma io...
Ti sembro il tipo che
approfitta della donna che ama?
Guardami ho detto?
Io come tuo padre?
Sei piombata nella mia casa
come un animale ferito, ricordi?
Con queste mani ho curato le
tue piaghe, ho lenito il dolore, ti ho
nutrita senza pretendere
nulla.
Ho atteso, sì, ho aspettato
senza metterti fretta rispettando i tempi
della malattia...
Ricordi?
Tu stessa in quei brutti
momenti dicevi di non meritarmi, piangevi tra
le mie braccia e io ti
stringevo forte costringendoti a... restare, a
fermarti, a non impazzire, a
guarire!
Ora che sta
succedendo...
Cristo, vuoi almeno
guardarmi in faccia!
Non pretendo riconoscenza ma
guardami almeno...
Insomma non costringermi
a...
... a fare cosa?
Ma cosa
hai capito... no guarda che io... ti prego, scusami... è che io
non posso lasciarti andar
via, ti prego...
Non puoi? E perché? Quale
oscura forza ti impedisce di lasciarle queste
mani?
Dammele le mani, lasciati
toccare, non vedi che sto piangendo: io che
non l’ho mai fatto.
Le tue lacrime non
commuovono, non convincono.
Sono lacrime del boia sul
patibolo, appena dopo aver stretto il cappio!
Soldati, il sangue:
portateli via!
Qui non siamo alla casa alla
pineta.
Sei a casa mia, è diverso, è
tutto completamente diverso.
Guarda le mie mani, guardale
queste mani!
Ti hanno sempre accarezzato,
sono mani incapaci di ferire, mani che non
appartengono ai tuoi
ricordi, mani che ti hanno salvata, mani che hanno
offerto un uomo che ti ama
come tu non immagini.
Mi parli di boia, di
patiboli...
Non andar via, ho bisogno di
te, ho necessità di... aiutarti!
Sai, forse è proprio per
questo che a volte esagero.
Ci siamo finalmente!
No, aspetta, non
fraintendermi... come dire: attenzione eccessiva, amore
eccessivo, una sorta di
mostro che ho qui dentro e che non controllo,
non controllo.
Necessità di violenza! Il
boia appunto!
... ma no, no! Non
fraintendere: ho paura di perderti, non vivo se non
ci sei e per questo ti tengo
stretta.
Stretta? Prigioniera,
sarebbe meglio tu dicessi: prigioniera!
Ti prego, cogli il bene
dietro il male di un attimo di incolpevole
follia, oh certo, potrei
dirti "il fine giustifica i mezzi" ma sai che
odio essere banale ed allora
guardale queste mani, ti cercano, ti
desiderano... desiderio
d’amore totale
Desiderio di possesso? Sì,
forse.
Una sola carne, per
sempre!
Vieni qui, stai ferma e
lasciati toccare, non vivo più, non vivo più,
ora sono io che chiedo il
tuo aiuto.
Ecco, sto bene se ti tocco,
sto bene...
(Le mani sul collo di lei
che si divincola)
Lasciami
Fermati, non mi aiuti se vai
via, mi distruggi se vai via, io non posso
permetterlo, no
assolutamente!
Soldati, soldati fermatela,
intorno è pieno di sangue, è sporco di carni
che marciscono, ordino che
si pulisca tutto al più presto.
Lavare il sangue,
lavare...
... lavare la colpa che ti
distrugge, rimuovere l’angoscia che ti monta
dentro come un mostro.
Lo hai appena detto, il
mostro che ti divora l’anima sporca di
rimpianti.
Ti sarebbe bastato poco e
invece.
Non ti sento, non ti
sento!
Sei brava a rovesciare il
piatto!
Non ti conoscevo sotto
questa veste, sono sinceramente allibito: queste
parole da te, tu che sino a
poco tempo fa facevi fatica a pronunciare il
solo tuo nome, tu
che...
Ma sai che ti dico?
Rinuncio al compito che
avevo prefissato, non lo meriti.
L’hai avuta la possibilità,
e come se l’hai avuta!
Hai buttato tutto a mare: il
mio senso di colpa... stronzate! Piuttosto
tu!
Tu come origine stessa dei
mali che dici di soffrire, tu colpevole del
buio che porti dentro; le
tue mani implorano violenza non aiuto e di
quella violenza hai bisogno
come il pane per continuare ad essere.
Ho capito, ho capito e lo
sai anche tu: ti nutri del tuo stesso sangue,
sei perversa, masochista,
godi del dolore che gli altri ti creano e se
non soffri, fuggi via come
una bestia selvaggia: le tue mani, le tue
mani assassine di te
stessa!
Non te l’aspettavi,
vero?
Tu che marcisci putrida
quando divieni vittima di mani inconsapevoli ed
il fumo che ne risulta,
quella orribile combustione di morte, è energia!
Sì, energia senza la quale
vivere ti è impossibile!
Tu sei perversa, un demonio
vestito da angelo, la tua falsa dolcezza è
una lama affilata che
colpisce giusto qui, al cuore.
Ebbene tu per questo sei
morta... morta, capisci? Cadavere che marcisce,
poltiglia di strega che è
bruciata al rogo delle sue stesse perversioni.
Tu sei morta, vero
soldati?
Portatela via, portatela
via.
(tra sé) io volevo
aiutarti.... non lasciarmi... perdonami, ti prego...
Soldati, presto: dove siete
finiti tutti?
Mani ipocrite, fate finta di
sfiorare... Carezze dite?
Sangue, dolore,
violenza.
Sei tu il male, mani che
assassinano te stessa!
Peste che appesta la peste,
ammali della tua stessa infezione e rifiuti
le cure, fuggi come un
demone di fronte ad una effigie sacra.
Tu sei il tuo male!
Hai ragione: l’ho creduto,
almeno per un tempo, ora non più.
Ho creduto d’essere causa di
morte... la piccola bara bianca, mia madre
che si dispera, le mani
bagnate di lacrime sul viso.
Io come la peste...
Hai ragione: ho creduto
anche di non meritare l’attenzione che mi
riversavi addosso, la tua
premurosa dolcezza, la voce spesso melensa, un
intruglio dolciastro di
miele e filosofia.
Guarda, l’ho così tanto
creduto che ho pensato bene di punirmi... che
abile incantatore avevo
affianco!
Troppe volte sono stata
oggetto di smisurati desideri, che pazza, così
credevo!
Troppe volte questo corpo ha
emanato strani fluidi ad accendere animi,
ad attirare mani accaldate
su di sé.
Pazza, pazza!
Alla finestra, guardando il
mare oltre la pineta, avvertivo il calore di
grandi mani che si
avvicinavano, le sentivo afferrare l’aria e muoversi
verso di me e prima di
averle sui fianchi... Dio che ho passato! Dio che
vergogna! Dio che
terrore.
Tu dici per colpa mia... ma
cosa potevo fare se non impedire che il
cuore mi esplodesse in
petto, se non governare il suo galoppo frenetico.
Così anche con te, ragazzo
gentile, giovane incantatore.
Certo,
eri diverso: le tue mani non mi pesavano addosso.
Mani leggere, mani d’aria
quasi trasparenti ma... onnipresenti; la mia
vita piena zeppa delle tue
mani lattescenti e viscose, la mia vita priva
di spazio, priva di piccoli
luoghi vuoti: le tue mani ovunque!
Così la quiete iniziale è
divenuta angoscia sotto le false carezze ed il
riposo del cuore è divenuto
galoppo.
Come prima, alla casa alla
pineta.
Anche per te, ho imparato ad
odiare il mio corpo che ammalia, attira,
circuisce, accende,
infuoca.
Io come la peste...
Pazza, pazza, così
credevo!
Ed allora che faccio?
Sì, dunque, che fai? Andare
via da me non ti aiuterà e poi dove?
Oh, certo, con un corpo così
non faresti difficoltà a...
... questo corpo io...
Questa carne io la maledico
e l’attacco, l’offendo, l’assalto con
impeto!
Il mio corpo malefico... che
pazza ad averci creduto!
Ma rifiuto comunque
l’esserci dentro, fuggo la sua prigione, i suoi seni
grandi, i fianchi sinuosi,
origine di mille voluttà.
Queste carni cercano mani,
io che vi sono dentro voglio invece fuggirle.
Voglio cancellarlo questo
corpo, voglio annullarlo, torturarlo,
imbrigliarlo, privarlo
d’ogni minimo nutrimento perché il boia non abbia
più di un simulacro... solo
un simulacro a te, mio padre, alle vostre
mani.
Solo un simulacro!
Il tuo splendido
corpo...
...solo e semplicemente
mutarne l’aspetto: da fata a strega, da sirena a
rospo.
Insomma, abbrutire le carni
perché cadano i seni a terra, flaccidi,
vecchi, disidratati.
E rughe sul viso avvizzito,
pieghe di pelle sulla pancia, sui fianchi.
Mani scheletrite, dissolte
in squame puzzolenti...
Il vostro desiderio muti in
ribrezzo!
Non puoi farlo!
Stiano lontane le vostre
mani!
Non toccatemi, non toccatemi
più.
Il terrore, il ribrezzo
degli uomini è la mia pace, scompare il mio
peso, il mio corpo,
l’immagine sporca di me, il loro sporco desiderio,
branco di cani assetati di
carni.
Io sono brutta!
Indesiderabile, schifosa e
le ossa che spuntano, crescono, stirano le
pelle vecchia, spengono il
desiderio, la colpa.
Follia?
Masochismo?
Perversione?
No, no, solo desiderio di pace.
Una sorta d’eutanasia: muoio
per non patire le vostre mani!
Non toccatemi, non toccatemi
più!
Il corpo è denutrito,
ammalato, oggetto di preoccupazione e non
desiderio.
Non mangio, solo un po’
d’acqua, se mangio corro subito in bagno a
vomitare.
Anoressia, anoressia mentale!
Salvezza mentale!
Non mangio per la pace, non
mangio, non posso
permettermelo...
mangiare, no, assolutamente
no!
Non posso farlo, non posso
farlo.
Soldati, presidiate i bagni
e tutti gli altri luoghi: questa donna non
deve star sola, all’erta e
massimo controllo!
Nessun problema per me:
vomito nel vaso, di nascosto o in qualsiasi
altro recipiente ma anche un
semplice fazzoletto, un pezzo di carta che
poi faccio sparire... è così
facile occultare il vomito, ogni luogo può
adattarsi.
Vomito cibi e desideri che
suscito, solo così tengo lontano le mani!
Io ordino che questa donna
sia controllata a vista, contenuta, legata se
necessario, è una questione
di vita o di morte.
Soldati, dico:
all’opera!
Li chiami soldati, potresti
chiamarli dottori o infermieri...
Tu stesso sei già stato uno
di loro!
Le stesse mani, mani di
gruppo, mani di équipe che si muovono
all’unisono, per protocolli
indiscutibili, inconfutabili.
Mani che toccano perché così
è scritto sui libri.
Mani che curano malattie,
mani che forzatamente inculcano cibo, mani che
controllano buchi e
sfinteri, mani che legano per impedire il vomito,
mani che pesano sulla
bilancia, la pasta, il pane, la carne, la mela,
mani che sottraggono la tara
con ossessiva precisione, mani che
calcolano calorie, mani che
ordinano di prendere chili, mani che
ordinano di vivere!
Vivere è obbligatorio in
questa repubblica delle mani: luogo di cura, di
pesi, di guanti in lattice
che coprono mani timorose del contagio, della
malattia, della morte.
Ospedali!
Mani guantate, intalcate,
gommate che toccano.
In bocca, a spingere a forza
il pezzo di carne.
Sui polsi, ad impedire
movimenti possibili.
Sulle chiavi, a chiudere
porte, finestre, luoghi ove si entra e si esce.
Sulla pancia, a premere la
vescica per far uscire pipì e quindi
procedere ad un peso più
esatto, documentabile sulla cartella clinica.
Mani sulla bocca, sulla
cornetta del telefono, non puoi telefonare se
non mangi, ma anche sugli
occhi per impedirti di comunicare, di
guardare, di sognare un
luogo diverso da questo.
La tua anoressia è
incompatibile con la vita ed io per contratto,
lotterò perché tu viva.
Con ogni mezzo, te lo
assicuro!
Piuttosto dimmi di te, di
tua madre, tuo padre... perché guardi le mie
mani?
Ma che strano atteggiamento
è questo?
Che fai, lasciale, lasciale,
insomma, non costringermi a...
Dottore!
Uomo
Ferma, non muoverti, ti
avevo avvertita...
Sei furba tu, chi credi di
fregare? Io sono più furbo di te, sai quanta
gente...
Tocca salire sulla bilancia:
spogliati, via il reggiseno, via ho detto!
Vuoi fregarmi, ma chi
credi....
L’hai riempito di carta
bagnata il reggiseno... eh, ma io non lascio
passare neanche un
grammo!
Forza avanti, nuda sulla
bilancia!
Ieri eravamo a
trentacinque.
Volevi star sola in bagno
prima del peso, sì, credevi che io ci
cascassi: aprivi i rubinetti
facendo finta di urinare, poi magari ci
vomitavi dentro al
lavandino.
Non ci sono cascato, non ci
casco mai: dovrai prenderlo qualche chilo
prima o poi.
A meno che tu non voglia
star qui a sopportarmi tutta la vita...
E’ dura sai?
Posso essere capace di
tutto, posso fare tutto, ne ho facoltà.
Nulla resiste alle mie
volontà, io sono nel giusto e per questo
determino, decido,
pianifico.
Vado avanti per la mia
strada, risolvo problemi in un attimo, calcolo il
rischio, aggiro l’ostacolo;
ogni atto è perentorio, fulmineo, preciso,
ogni pratica è perfetta,
elegante, lineare, documentabile in
diapositive; gli strumenti
dei quali mi avvalgo sono limpidi, asettici,
sterili, il naturale
prolungamento di mani accreditate, laureate,
esperite.
Agisco sempre così, il più
delle volte da solo, non voglio occhi
indiscreti intorno e poi
silenzio, assoluto silenzio perché l’atto abbia
l’aspetto di un rito, un
sacrificio al cospetto di una divinità bianca e
pulita.
Non ho paura d’inciampare
nel dubbio: non ho dubbi!
Non ho paura di nulla,
neanche della peste.
Anzi alla peste sono immune,
immune per gli anticorpi che mi circolano
nel sangue, per l’abito a
trama fitta che impedisce il passaggio a
qualsiasi verme.
Non ho paura della
peste!
A quel mostro rispondo con
queste: mani che impugnano fiale, pinze,
bisturi
taglienti, medicamenti ipnotici, palloni autoespansibili,
espansioni di ego, dominio di mani, imperio assoluto del
bianco per
cancellare la pazzia dei colori, autarchia di lame per
prevenire la
peste!
Infermiere!
Non cercare di manipolarmi, io le conosco le tue mani, sono
come tutte
le altre: sinuose, gentili, affusolate, candide, imploranti
e giunte per
pregare, per elemosinare aiuto ma se ci casco è la
fine.
Sono trappole, precipizi, salti nel buio... sono la
malattia, la morte e
qui regna la vita.
Questa è la patria della vita ed io ne sono il
patriota!
E le mie piuttosto, le mie mani, le vedi?
No, non le freghi queste mani: hanno imparato a difendersi
e
contrattaccare se necessario.
Io sono un patriota!
Devi mangiare... mangia, mangia, mangia!
Guarda che se mangi sei libera, voglio dire dimessa... a
casa, capisci,
vai a casa!
Se mangi te ne vai dove vuoi, in montagna, alla spiaggia...
ti piace il
mare?
E poi, guarda, se metti dentro qualcosa torni ad essere
bella come
prima... perché eri bella prima, vero?
Nonostante tutto devo ammettere che hai un bel viso, bei
lineamenti...
lasciati guardare.
Anzi, guarda, lì c’è uno specchio, lì lo vedi?
Guardati, guardati come sei ridotta: un mucchio di ossa,
guarda che
mani, sei così brutta. Nessuno ti avvicina, nessuno ti
tocca.
E questo ti dispiace, sei una donna ed hai la vanità nei
geni, non puoi
essere compiaciuta del tuo aspetto orribile.
Ce l’avevi il fidanzato, sì, sì, sono sicuro... dovevi
essere proprio
bella!
Devi tornare com’eri... è un ordine!
Mangia. Mangia, mangia, mangia!
Se non mangi muori, se non mangi ti uccido io, con queste
mani!
Le vedi le mani?
Il boia prepara il cappio.
Uomo
Ma sentitela, soldati: questa donna vuole sfidarmi.
Chi comanda qui, lo sai chi comanda?
Il mio collo è pronto: fallo subito!
Sfacciata!
Diteglielo voi, soldati, chi comanda!
Guardati intorno, guardali questi cadaveri che marciscono
dappertutto.
E l’aria fetida imperniata di morte.
E’ la vittoria sulla peste!
Sono queste mani la causa di tutto!
Queste mani hanno lavato, pulito, disinfettato!
Mi è bastato a volte il solo toccare... una sorte di
benedizione.
Altre volte ho dovuto stringere sul collo o addirittura
sparare sulla
tempia.
Per queste mani ho gioito, sofferto, gridato, sussurrato,
desiderato,
odiato.
Dite soldati, dite... dite delle mie mani: sono loro che
fanno, libere,
autonome, potenti.
Fallo ora... lo chiedo alle tue mani: fatelo!
Povera illusa, credi di spuntarla, pensi mi manchi il
coraggio.
Non le temi queste mani?
Soldati, soldati... è ora!
La pistola, la pistola.
Che muoia come gli altri.
Lei che non si piega alla potenza delle mani!
Urlo.
Sparo.
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spettacolo teatrale Mani