Il malessere della normalita'.

 di Alex Malega

La normalita' e' l'orizzonte della nostra esistenza.Chi di noi non ama definirsi normale?

Non credo che ci sia uomo al mondo che desideri essere definito folle. La follia fa paura.

E la follia  ci terrorizza perche' e' la porta attraverso la quale ci allontaniamo

dagli altri. Essa e' fonte di terrore sopratutto per coloro che folli non sono.(o credono di non esserlo).

La follia ci terrorizza perche'  ci esclude dal consorzio umano. L'esclusione provoca terrore panico.

Simili a bambini,anche gli adulti,se vengono abbandonati,vengono sopraffatti dalla prostrazione e dalla sofferenza.

Abbiamo bisogno degli  altri per vivere. Attraverso gli altri, la nostra identita' si rafforza, ed anche la nostra sicurezza.

All'esperienza della follia preferiamo l'esperienza della normalita'.

Ma siamo certi che la normalita' sia sinonimo di sanita' mentale?

Credo che molti avrebbero delle difficolta' a rispondere in modo affermativo.

La normalita',come sostengono gli autori,e' causa di sofferenza. E' fonte di malessere.

"Il malessere della normalita' non risparmia nessuno".Non risparmia i vecchi,i bambini,le donne,gli uomini.

Tutti coloro che riproducono la loro vita all'interno delle istituzioni ordinarie, vale a dire la gran maggioranza delle persone che studiano,lavorano,si fanno una famiglia,nella societa' tecnologica-informatica.in qualche modo ne vengono colpiti.

Ma che cos'e' il malessere della normalita' e come si manifesta?

Gli autori a questo proposito scrivono:" Malessere della normalita' e' quel dolore specifico che si genera

nel processo dissociativo di conformazione e adattamento gestito dalle istituzioni ordinarie:

-dolore per le costrizioni indotte dal codice conformante;

-dolore per l'inibizione,lo smarimento,la perdita di potenzialita' espressive;

-dolore per la sconnessione identitaria e la latenza delle proprie parti dissociate.

Cio' che gli autori vogliono dire e' che l'adattamento a una condizione di normalita' (per una sopravvivenza minima della nostra

identita)," riduce alla sua misura la capacita' di consapevolezza intellettuale ed emotiva di ciascuno di noi.Questa condizione

d'identita' ristretta costringe all'assenza,alla clandestinita',all'esilio temporaneo,una vasta area della nostra complessita' identitaria".

Questo restringimento e' quello che chiamiamo "malessere della normalita'",un malessere che ci segnala una condizione di

"imprigionamento",ma nello stesso ci invita a liberarcene.

Cio' che dobbiamo fare in questo caso,non e' quello di anestetizzare il dolore,ma di elaborare la sofferenza.

Spesso l'elaborazione della sofferenza ci permette di andare oltre il dolore,di superarlo.

"Stroncare il dolore ci depriva di questa possibile elaborazione autonoma,ci rende piu' dipendenti,occulta,atrofizza quel potenziale umano che ruota agli stati modificati di coscienza. I sistemi chiusi e lenitivi,dalla farmacologia delle sostanza ai dispositivi rituali(...)inchiodano,bloccano il soggetto dentro un sistema rituale".

Il problema,quindi,seguendo la traccia degli autori,e' "apprendere,insegnare,fare in modo che ciascuno per se' sappia dei propri

 stati modificati,che li sappia gestire nella propria autonomia e sappia con essi convivere elaborandoli e andando oltre la sofferenza e il dolore in modo creativo,in modo da sfuggire alla dipendenza,in modo da attrezzare la propria difesa psicosomatica oggi soprattutto contro le malattie d stress".

La strategia che oggi va per la maggiore per affrontare quel malessere che ci attanaglia e ci angustia -scrivono gli autori - non e' quella descritta sopra,ma un 'altra strategia, che e' la piu' diffusa.

Il nucleo essenziale di questa filosofia ,promossa da grandi universita' e da industrie farmaceutiche, puo' essere sintetizzato cosi:"Se vivi un malessere modifica farmacologicamente il tuo stato di coscienza per non sentirlo"

"Se vuoi  potenziare l'efficienza delle tue attivita'-di relazione,culturali,lavorative,sportive,sessuali - assumi un farmaco mirato.Se vuoi restare in forma,rallentare l'invecchiamento,non ammalarti,inghiotti ogni giorno una bomba d'integratori minerali e vitaminici."

Sappiamo come la risposta chimica ai problemi della vita non sia ovvia e normale,ma che ci e' imposta dalle potenti lobby

farmaceutiche che,manipolando accuratamente l'informazione di massa hanno progressivamente accreditato:"l'idea che  medicina e benessere siano termini di una stessa equazione".

Gia' Ivan Illic,nel suo libro uscito nel 1975, Nemesi Medica,aveva denunciato la pericolosita' dell'impresa medica,vera e propria minaccia per la salute.

Orbene,rivedendo quella tesi,Illich giunge a sostenere che la " ricerca della salute e' diventato il fattore patogeno predominante. L'ossessione della salute perfetta,l'aumento delle cure,genera patologie."

Una scena simile era stata predetta dallo scrittore di fantascienza,A.Huxley.

Il mercato dei farmaci e' quello che tira di piu'. Ci sono pillole per tutti:euforizanti,antidepressivi,antiansia.

pillole per tirarsi su' e pillole per calarsi giu'.

Solo nell'America ,secondo il Journal of American  Medical le prescrizioni di Prozac (antidepressivo) e di Ritalin(stimolante)

si diffondono a ritmo impressionante anche tra i bambini di 3-4-5 anni.

In Italia negli ultimi anni il consumo di farmaci ansiolitici e antidepressivi e' triplicato. Nell'ultimo anno(2000) sono stati consumati 5 milioni di antidepressivi,3 milioni di ansiolitici,2 milioni di pillole antipanico,e sonniferi a volonta'.

L'ex ministro della sanita',Umberto Veronesi,ha detto che i " sofferenti mentali" in Italia sono attualmente dieci milioni,un sesto

della popolazione,e l'Organizzazione mondiale della Sanita' prevede che la depressione e' destinata a passare entro vent'anni

dal quinto al secondo posto nella classifica mondiali delle maggiori cause di malattia.

Gli autori si chiedono se non sia meglio considerare i sintomi come " manifestazione di salute e quindi accoglierli,orientarli verso una comprensione della loro genesi sociale? Essere ad essi ed ai linguaggi con cui si esprimono presenti,in luogo di fuggirli?"

 

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Pagina pubblicata il 01/10/01