Intermittenze del cuore - Anno 1997
Curva Sud
Senti, un rumore lontano, più forte di un
tuono
che scoppia e rimbomba da oltre Trieste
nelle nostre teste e non si
ferma più
guarda, una macchia di rosso colora il canale
del bene e del
male, il colore del mare
che sembra virare più al nero che al blu,
e poi
la lingua che si secca e balbetta
nella fretta della nuova
verità...
tocca il mio cuore discreto che si alza e
rimbalza
su costole rotte, e toccami il corpo
che freme di rabbia e di
malinconia,
annusa il profumo del fango, la polvere bianca,
la guerra che
avanza in facce tagliate,
oscurate dal sogno di un'altra etnia,
e poi la
lotta che si staglia e si affretta
la battaglia della nuova
bugia...
Mangiati questo dolore, gustati il succo
di
questa impotenza a capire l'amore
che sembra il domani di questa
città,
pensa, ti sembrano sensi, e ti sembrano cinque,
o ti sembrano
sogni, oppure è un ricordo
più forte che vero dell'ambiguità
questo
presente rosso sangue,
questo ritorno di
barbarie-novità...
Senti che aria di fasci stasera,
stanotte,
stasera mi lasci, lo so, non potrò
io lo so, non potrò più
dormire con te...
L'Italia è un aliante sospeso nel
troppo
silenzio si un cielo confuso, una scritta
rèclame che ci osserva
dal blu, ed è dipinta di blù
si apre uno stadio fantasma, una
luce
accecante, ma senza notturna, si sentono
i cori, bestemmie infelici,
della curva Sud,
e i disperati stanno male, soli
e lontani anche dalle
parole...
L'Italia è una macchina calda che va
fuori
strada, un processo alla moda, da un tempo
lontano un saluto romano,
un bambino di Napoli
che salta e che ride, che urla e che dice
che 'Duce',
che 'Duce', che 'Duce', tu sei la mia
luce, tu sei proprio l'unica luce che
ho,
una dolce grandissima luce vera...
e che aria, che aria, che aria, che
aria stasera...
Stasera c'é aria di nebbia, neanche la
luna
uno straccio di luna, o un'ombra di stelle
un paracadute che mi tenga
su,
l'Italia è una macchina pazza, che aria di fasci,
stanotte, stasera,
stanotte mi lasci, lo so
che non posso dormire con
te...
Senti che aria di fasci, esta hora,
stasera
stanotte mi lasci, lo so non potrò, io lo so,
non potrò più
dormire con te...
(Gennaio '94)
Dita
Ci sono le dita di Dio stamattina nel
cielo
e ti stanno disegnando una buona giornata
in cui ci sarò, ci sarai,
ci saremo
e ci potremo toccare chiedendo: com'è andata?
Ci sono le dita di
Dio stamattina nel cielo
e ti stanno accendendo una bella luce
in cui ti
muoverai bella come sei,
sulla musica intensa di questa
voce.
Ci sono le dita di un postino oggi in
Italia
che si prenderanno cura delle mie parole.
Potessi farti anch'io una
carezza da lontano,
potessi avere anch'io un poco del tuo sole.
Ci sono le
dita di un postino oggi nel mondo
che ci faranno sentire più vicini del
vero:
potessi essere io ancora un bambino, e volare
come una lettera
magica nel tuo cielo straniero.
Ci sono le mie dita oggi sulla chitarra
ed
ognuna di loro ti vuole bene,
abbiamo sempre voglia di toccare la
terra,
tocchiamo sempre quello che non ci appartiene.
Ci sono le mie dita
oggi sulla chitarra
ti stanno ricordando di un'altra giornata,
e toccando
arpeggiando, come quella notte
in cui Roma pagana era una rima baciata,
in
cui a Roma eravamo come una rima baciata.
Ignazio
Ma dove vai a scopare, Ignazio,
quando viene
la sera,
dopo la tua giornata morbida e pesante
come la crema
pasticcera,
con queste donne che sembrano più giovani
della loro
età,
oppure quelle che sembrano più vecchie
almeno in
sincerità...
Ma dove vai a scopare, Ignazio,
con quale
affetto, quale nostalgia,
dopo la tua giornata morbida e pesante
come una
pasticceria,
con queste donne che non la danno
o se la danno la danno per
forza,
tu così dolce e così preoccupato
di non ferire nemmeno la
scorza,
ma dove vai a scopare, Ignazio,
alla sera,
chiuso il negozio,
quando ti senti cadere addosso il mondo
e anche il
lavoro ti sembra un ozio,
e resti lì davanti alla porta
chiusa nel tuo
monolocale,
dov'è che vai a resuscitare, Ignazio,
quando stai troppo
male...
E dove vai a scopare, Ignazio,
dimmi da
quale puttana,
oppure hai proprio una donna fissa
qualche fine
settimana...
E poi quel cielo che sembra piombo,
quel freddo che non
finisce più,
quelle pantofole con Topolino
la stufa davanti alla
tv,
ma dove è andata a finire, Ignazio
tutta
quella dinamite,
quella vita pensata, sognata sui libri,
tutte le tue
altre vite,
ma dove è andata a finire Ignazio
quella tua voglia di
dolcezza,
di dolci adesso ne assaggi anche troppi
ci infili le dita senza
tenerezza
e dove vai a scopare, Ignazio,
la tua
puttana ti vuole almeno un po' di bene?
Tanto è chiaro che tu non sei
suo
e lei per nulla ti appartiene,
come le paste dentro al vassoio,
i
bambini impazziscono di gioia,
ma di là nel forno c'è quel vecchio
sdentato
che si ammazza di seghe e di noia...
e dove vai a scopare, Ignazio,
tu così solo
sai certo un po' di mondo,
fammi venire una volta con te,
buttiamoci
insieme in quel pozzo profondo,
per ritrovarci insieme, poi una
mattina
davanti a un benzinaio ancora chiuso,
io come te, io più fesso di
te,
la nostra amicizia che si tiene il muso,
e dove vai a scopare, Ignazio,
con quella
voglia di vita negli occhi,
ma rassegnato disincantato ormai,
senza
nessuno più che abbocchi...
perché è dura scopare, Ignazio,
se non
riusciamo a volerci bene,
e non riusciamo a dimenticarci,
di questa guerra
che viene, che viene...
che viene, che viene, che
viene...
Canzone di bassa lega
Adesso
che hanno costruito tutte quelle
macchine,
milioni di automobili,
che oggi riempiono tutte le piazze
di
un'Italia ristrutturata dalle banche,
le grandi banche che hanno
capitalizzato i frutti
della vendita di tutte quelle macchine,
milioni di
automobili,
adesso
li rimandano al sud,
adesso
li rimandano al
sud.
E' una canzone di bassa lega,
è una canzone
che fa pietà.
E' una canzone di bassa lega,
è una canzone che fa
pietà.
Ulisse
Ecco, è seduto davanti a noi come
Ulisse,
col suo giaccone da marinaio
e quel sorriso da gioconda un poco
troia
precipitata dal Louvre in questa specie di guaio
perché il destino,
il fato, è cambiato,
e oggi gli dei ci sono nemici
e certamente non basta
più viaggiare
per sembrare degli zingari felici,
perché gli anni passano e
i figli crescono,
e ognuno pensa alle cose sue,
e se gli chiedi quanti
figli ha lui
ci pensa un po' prima di dire due,
due quasi grandi che lo
prendono in giro
quando riceve lettere d'amore,
guardate Ulisse,
navigatore solitario,
che discende in canoa le intermittenze del
cuore
...e poi le donne, ah! le donne, che affare,
ce ne vorrebbero tre o
quattro per ciascuno,
e poi le donne, anche in mezzo al mare,
ah, le
donne, che profumo
le donne salutano dal banchina, e piangono,
il giorno
che devi partire,
poi si consolano e ci bevono sopra
e quella notte chissà
con chi vanno a dormire.
Ecco, coi gomiti spolvera il tavolo
Ulisse,
parla di Tennyson, di Omero e di Dante
sempre a occidente senza
nessuna paura
perché è il ritorno che non è importante
e quindi la storia
della galera
e i traffici dopo l'università,
ma era bello rubare nei
supermercati,
in barba al principio della proprietà,
è breve la vita, è un
lampo che illumina
soltanto una scena da dilettanti,
se non sai bene la
tua parte a memoria
cosa farai col pubblico davanti,
balbetterai qualcosa,
una musica dolce,
quell'unica semplice melodia che sai,
rimandando a
domani il senso del tempo,
del poco tempo contato che hai,
...ma per
fortuna le donne, che affare,
ce ne vorrebbero due o tre per ciascuno,
e
poi le donne, anche in mezzo al mare,
ah, le donne, che profumo,
appena in
tempo alla banchina, e salutano
il giorno che devi partire,
poi tornano a
casa e ci dormono sopra
e nei sogni chissà dove vanno a
finire.
Ecco, ha la faccia tra le mani Ulisse,
e ci
racconta di quel brutto incidente,
rivedere lei in camice al pronto
soccorso
come se gli anni non fossero niente,
Rivedere lei e sentire
tornare
la meraviglia di quel tempo antico,
le ciliege sull'albero,
orecchini di un sogno
da sognare con tutti o con più di un amico...
...
perché le donne, ah! le donne, che affare,
ce ne vorrebbero una o due per
ciascuno,
e poi le donne, anche in mezzo al mare,
ah, le donne, che
profumo
ma non c'è nessuno sulla banchina, piove,
proprio il giorno che
devi partire,
sono tutti a casa e ci bevono sopra
e nei sogni chissà con
chi vanno a dormire.
Ecco, ha le mani tra i capelli Ulisse,
quei
riccioli grigi eternamente ribelli,
c'è quasi una lacrima che vorrebbe
sgorgare
per farci capire che tempi eran quelli,
tempi di lotta e tempi
duri d'amore
tra l'Italia sconfitta e un futuro bastardo
e una donna che
chiude le intermittenze del cuore,
una donna fissa che non ricambia lo
sguardo
una donna magica, unica infermiera
che ti lecca nel cuore e cuce
le ferite,
un luogo dell'anima in cui ritornare
a dipanare l'imbroglio
delle nostre vite,
perché il destino, il fato, è cambiato,
e oggi gli dei
ci sono nemici
e certamente non basta più viaggiare
per sembrare degli
zingari felici,
... certo le donne, ah! le donne, che affare,
bisognerebbe
averne almeno una per ciascuno,
e poi le donne, anche in mezzo al
mare,
ah, le donne, che profumo
ma proprio quella che ci voleva,
quella
sirena, è finita male,
qui abbiamo chiuso tutti le orecchie,
fino al
prossimo carnevale,
e proprio quella che ci voleva,
si è consegnata al
Grande Digiuno,
la vita è stanca, e se ne va via,
vieni via
Ulisse,
siamo in mezzo al marem
qui non c'è più
nessuno,
vieni via Ulisse,
siamo in mezzo al
mare,
qui non c'è più nessuno.
Io ti faccio del male
Io ti faccio del male anche se ti amo,
ci
sono troppi spigoli nei miei giorni,
così ferisco i tuoi riposi, i tuoi
sonni,
con parole insistenti, col bisogno che torni,
io ti faccio del male
perché sono feroce,
e ho l'energia artificiale dei vinti,
tu hai perduto
la pace trovando la mia voce
in questi mesi meravigliosi e
finti,
io ti faccio del male perchè non riesco a star
fermo
e ho una bottiglia piatta sempre in tasca,
tu guardi lontano, tu hai
lo sguardo più aperto
anche se sai soffrire con me quanto basta,
io ti
faccio del male proprio perché ti amo,
e sono caduto nel tuo orizzonte,
e
ci vivo dentro, e ti sogno e ti chiamo:
soffiami via l'inferno dalla
faccia...
ma quando ci guardiamo e ci vediamo
respirare
il petto si alza, si abbassa
come le onde di un mare
non
ancora in tempesta, ma mosso dal profondo
che sta forse per cacciare
la
solitudine dal mondo,
ecco, quando sentiamo che il tempo ci appartiene
è
allora che ti amo
e ti faccio del bene,
è proprio quando ti amo che ti
faccio del bene,
è proprio perché ti amo
che ti faccio del bene,
e
proprio perché ti amo
che ti faccio...
Il re dei piccioni
Se siete stanchi di vivere, oppure
vi siete
proprio rotti i coglioni,
tra le mogli, gli uffici, le amanti
gli
incantesimi, il vuoto, le ventiquattrore
e le quattro
stagioni,
se non riuscite davvero più a ridere
neanche
all'ora del telegiornale,
e avete voglia soltanto di perdervi
in un vizio,
un oblio, una droga, una donna
o un peccato mortale,
Venite con me una domenica in piazza,
nella
piazza più bella del mondo,
dove io sono nato, e dove ancora
resisto,
nonostante il mio sonno profondo,
e vedrete mio figlio, mio
figlio pensate!
una lisca di pesce con due occhi buoni,
lo conoscono tutti
ormai, perché lui lì è il re,
lui è il RE DEI PICCIONI.
Lascia stare il fruscio del tuo mondo
chè
sul REVOX del tempo
sia i giorni che gli anni
non registrano altro che
brutte canzoni,
lascia stare il rumore di fondo,
c'è la luce, la pizza, la
piazza, un sacchetto di grano
nella sua mano,
e c'è lui, una pagina bianca
in un cielo di suoni,
e c'è lui, c'è il dio, c'è
IL RE DEI
PICCIONI.
Noi passiamo la vita ad aspettare
qualcosa,
ma quella porta non si aprirà mai,
lui sta in piazza lui nutre i
piccioni,
lui, IL RE DEI PICCIONI, lui, il vento che passa,
che si frulla
la testa, e tutto quello che hai...
Noi passiamo la vita ad aspettare
qualcuno
ma nessuno telefonerà,
non ci serve la rabbia, il dolore, il
digiuno,
non sappiamo parlare o tacere,
non abbiamo altro dubbio o paura
che la verità...
Se vi siete stancati di tutto
se vi siete
girati i coglioni,
c'è mio figlio domenica in piazza
ed è un re lui, lui è
IL RE DEI PICCIONI,
lui che mette la mano nel sacco
pieno di
chicchi di grano,
lui che lancia quei giorni nel vento,
e mi guarda, e se
guarda lui guarda lontano...
e i piccioni contenti di un re così poco
violento...
Lascia stare il fruscio del tuo mondo
chè
sul REVOX del tempo
sia i giorni che gli anni
non registrano altro che
brutte canzoni,
lascia stare il rumore di fondo,
c'è la luce, la pizza, la
piazza, un sacchetto di grano,
nella sua mano,
e c'è lui, una lisca di
pesce con due occhi buoni,
e c'è lui, c'è il dio, c'è IL RE DEI
PICCIONI.
I musicisti di Ciampi
I musicisti di Ciampi non gli volevano
bene
lo accompagnavano così, senza passione,
e mentre lui cantava e
moriva
loro facevano la loro professione
i musicisti di Ciampi non lo amavano,
una
persona troppo strana e distruttiva,
loro, i computers che in testa gli
giravano,
pensavano ai turni ai soldi, alla domenica
sportiva,
così la senti la distanza d'emergenza
tra
quella voce che fa finta di provarci,
e quelli dietro che hanno fretta di
finire,
e che non sanno cos'è amarsi, cos'è amarci,
e poi li vedi e sembra un film di
Fellini,
uno che ride e ripone lo strumento,
e Piero è lì, con un
bicchiere in mano,
e sa che avrà da fare ancora con il vento,
lui sa, che
avrà da fare ancora con il vento.
Il grande bluff
Ah, ma a gioco
chiuso, a carte
scoperte,
quando
ognuno ha lì il suo
punto che l'inchioda,
e si vede (si
vede)
l'inganno di chi aperse
con una coppia
di sette e
stette
seduto lì e servito
in posa: ah, ma pensala
l'economia che
mette
al posto di due sette
il sogno di una cosa,
pensala finita
in
ogni esplosa
bomba questa notte
che punta le lancette
su ogni
Borsa
del Mondo che gioca
una ricchezza
delle più abbiette,
una
grandezza
ai più perniciosa...
Come ho fatto a stare tanto senza
te
Come ho fatto a stare tanto senza te,
la mia
rabbia, la mia libertà dov'erano finite?
Più ci penso più mi rendo conto
che
tu sei lo specchio che mi allarga le ferite
tu sei l'aria che non
riesco a respirare,
la paura di una morte un po' improvvisa,
sei le scale
che non riesco più a salire
senza un battito di cuore e una faccia
indecisa,
come ho fatto a stare tanto senza te
e chi è che ti ha rubato
alla mia luce,
un uomo solo, spaventato, nei caffé,
io che parlavo, e non
avevo voce,
come ho fatto a aprire gli occhi senza te
davanti a tutta la
solitudine del mondo,
io che giro, faccio cose, penso che
ma sempre più
saltato io, più vagabondo,
come ho fatto a stare tanto senza te
come ho
fatto a stare tanto senza te
più ci penso più non so com'è
come ho fatto a
stare tanto senza te.
come ho fatto a stare tanto senza
te
poi vederti all'improvviso una mattina,
ho
capito cosa c'era che non va
ho capito, è chiaro, adesso si,
ho guardato
il sonno, la tua luce,
e ti venivo dietro senza sigaretta,
ho guardato
dentro tutte le vetrine,
ho bruciato tutto il tempo, molto in fretta,
era
lì davanti a me la spiegazione,
era semplice come ogni porta stretta,
e
poi dentro mi scoppiava l'emozione
che mi fumava, ero io la
sigaretta,
come ho fatto a non fermarti con la mano
come è stato che hai
capito tutto tu,
siamo gente, noi, che viene da lontano,
e non sta ferma,
e non si ferma più,
poi l'amore, il sole, l'aria che funziona,
poi dei
passi fatti insieme per la strada,
io che penso e non ci credo proprio
che
son riuscito a stare tanto senza te.