MA CHE STORIA D’EGITTO !

OVVERO COME VIDI LE PIRAMIDI E SMARRII LA MIA INGENUITA’...


Alla metà degli anni 80 le forme di cooperazione internazionale italiana nel mondo erano sostanzialmente due : quelle su base volontaria, con personale religioso e/o laico, piu’ o meno autofinanziate (prima bozza delle attuali ONG, organizzazioni non governative) e quelle direttamente strutturate dal MAE, Ministero Affari Esteri, attraverso il Dipartimento per la Cooperazione allo Sviluppo. Nel 1986 avevo 25 anni quando consegnai il curriculum a Roma, al ministero Esteri : ero intenzionato a partire in ogni modo ma mi fecero capire chiaramente che partire con loro come “esperto” era impossibile : restavano- e per me andava benone- le missioni volontarie. Ma da lì a pochi mesi giunse inaspettata la chiamata di una funzionaria ministeriale che, alquanto misteriosamente, mi comunicava l’ingaggio per una zona “africana”. La notte precedente il colloquio con i...ministeriali, immaginavo la disagiatissima savana somala ; l’infuocata distesa desertica sudanese ; i campi etiopi sterminati dalla siccità. Invece la mattina successiva, dopo un’anticamera enorme con segretarie disperate perché il party serale sarebbe saltato causa pioggia (sic !), il megaboss mi svela il mistero : avrei fatto parte della missione italiana in Egitto. Al Cairo. Assai sconcertato ma entusiasta mi imbarcavo sul volo AZ che mi avrebbe portato alla mia prima esperienza internazionale. Non sapevo che poche parole d’inglese. Al ministero dissero che non era importante. Giunto al Cairo - e cio’ confermava le impressioni avute durante lo stressante mese di preparazione esclusivamente burocratica- mi dissero che lì arrivavano solo raccomandati di ferro per un programma di affiancamento in Rianimazione. Poiché gli ultimi erano veramente digiuni di Rianimazione,- con esiti imbarazzantissimi per tutti, visto che eravamo istruttori...- io ero stato chiamato perché sui tavolini romani, in mezzo alle scartoffie, dal mio faldone era uscito il diploma di specializzazione in rianimazione, conseguito proprio a Roma nell’81...

Prima di parlare della missione italiana al Cairo, è necessario descrivere un poco la situazione sanitaria egiziana. Come ogni paese del terzo mondo, non vi erano vie di mezzo : gli ospedali per il popolo erano dei lazzaretti ; gli ospedali per gli egiziani e gli arabi ricchi erano delle cliniche lussuosissime, vere fonti di guadagno incredibile per i proprietari. Li’ venivano ad operare i più grandi chirurghi mondiali, vi lavorava personale qualificato statunitense ed europeo ; per contro la sanità...sociale, come detto, era arretrata e mi ricordava quelle confraternite medievali dove si assisteva alla morte dei poveri ricoverati, con buona volontà e fede. Il nostro era un ex ospedale italiano risalente all’epoca dell’influenza italiana in Egitto ; epoca conclusa con poca gloria quando, il 10 giugno 1940, l’Italia dichiarò guerra alla Francia ed alla Gran Bretagna che “proteggeva “ l’Egitto : il Federale fascista locale disse al personale ed agli italiani cairoti : “vado a casa, mi cambio la camicia e torno !” Nessuno lo vide più e gli inglesi spedirono nel deserto tutti gli italiani, in un campo di prigionia. La missione italiana al Cairo aveva aperto un centro Dialisi ormai autonomo e consegnato agli egizi ; restava attivo il programma della rianimazione, con materiale ed arredi completamente inviati da Roma e davvero...faraonici. Basti pensare- è la metà degli anni 80- che i respiratori avevano un computer metabolico in grado di calcolare le spese energetiche del paziente. In compenso non c’era l’ossigeno centralizzato, ma evidentemente era ritenuto...superfluo ! Il concetto fatalistico dell’islamismo era, se vogliamo, quasi contrario al concetto della rianimazione : pur essendo, specialmente allora, il paese arabo più laico, gli egiziani erano naturalmente musulmani praticanti -ed al Cairo la Moschea di Al Azhar è il nostro Vaticano...- perciò l’idea che un..infedele spiegasse come richiamare in vita un morto era un po’ andar contro al volere di Allah. Quindi grossi problemi di approccio filosofico ; esplosi poi nella collaterale missione che voleva introdurre la donazione di sangue in Egitto. Era assurda la sola idea, perché in Egitto come in tutto il terzo mondo, purtroppo, il sangue si vende ed è pratica assolutamente legale, con tariffe governative. Come potevano questi stranieri convincere i poveri donatori-venditori locali a regalare quell’unico loro prodotto che potevano invece vendere ? Il responsabile del progetto sangue, un caro amico oggi primario di un Centro trasfusionale lombardo, si fece venire una sorta di esaurimento e si scopri’ dopo poche settimane assolutamente inutile per il fine del progetto.



La sua grandiosa umanità lo riciclò in perfetto trainer dei locali per le tecniche della crociatura dei flaconi...venduti ; ed alla gestione di una banca del sangue. Ma il progetto originario era davvero improponibile ! Noi lavoravamo vicino agli infermieri egiziani. Essi erano poco più che dei poverelli francescani ; ed anche i medici dell’ospedale pubblico dove lavoravamo erano assai malridotti economicamente, ma spesso severissimi e perfino maneschi col loro personale. Noi eravamo amati ed odiati per i lautissimi stipendi. In Egitto la vita aveva i costi a doppia velocità : se pane e benzina erano regalati o quasi, il companatico e un treno di gomme equivalevano a tre stipendi di un povero “mumarred”- infermiere, il quale guadagnava davvero per sopravvivere.

I nostri stipendi, capitolo importante. Eravamo in sede disagiata...nei miei 18 mesi di permanenza avevo ottenuto 5 aumenti automatici( di almeno cento dollari l’uno) in quanto noi venivamo considerati non solo in sede disagiata ma agganciati al personale di ambasciata, notoriamente trattato benissimo. Quante volte ho pensato, negli anni, ai ridicoli benefici contrattuali che ogni 3 o 4 anni restituiscono poche lirette....intanto , il personale all’estero, qualunque qualifica ricopra, ha aumenti costanti, continui, cospicui. Il materiale che veniva inviato dall’Italia effettuava stranissime ed incomprensibili sponde fra una dogana e l’altra ; parte era dichiarato rubato, parte danneggiato ; su certe cose le Autorità locali- con nostro grosso scandalo- pretendevano “ il pagamento dei diritti di dogana” ! Ma si trattava di doni per il reparto ospedaliero ! Il programma di Rianimazione avanzava fra molte difficoltà : pochissimi sapevano farsi comprendere ; il linguaggio era un misto assurdo di italiano ed egiziano : nessun italiano parlava all’inizio un buon inglese, alcuni pian pianino-grazie anche alla vita sociale- apprendevano inglese e/o francese e riuscivano a parlare con i medici, almeno i poliglotti. Nessun infermiere locale parlava inglese, ma anche alcuni di noi non sapevano esprimersi che nel proprio dialetto ! Ed erano magari i più spinti da Roma, dove era sufficiente avere un cugino sottoimpiegato di concetto per esser spediti in giro per il mondo... Parlare era decisivo, però, perché non potevamo “mostrare” l’arte. Infatti, l’assurdità più marcata era il NON riconoscimento dei titoli sanitari (lauree e diplomi) fra Italia ed Egitto : per gli uni e gli altri, eravamo- reciprocamente ! !- tutti abusivi, e non potevamo insegnare “praticamente” come si posiziona un agocannula, perché la Legge locale- assai rispettata...- lo impediva ! Il capomissione, un medico lombardo, era esperto e capace ; si sforzava di appianare le costanti difficoltà ma la burocrazia locale era mostruosa, imponente, assurda. Quella romana non era da meno. Un giorno ci chiesero di contare ogni singolo agocannula, ogni singolo pezzo di reparto e di farlo in 48 ore. Stavamo impazzendo. Il materiale si rompeva, come ogni buon prodotto sanitario e con la stessa frequenza, e i pezzi di ricambio non erano semplicemente presenti nel Paese. Era necessario passare dall’ambasciata ; che chiamava Roma ; che chiamava il rappresentante ; che inviava il pezzo : dopo 9 mesi. Intanto noi italiani avevamo trasferito sulle rive del Nilo le solite cose degli ospedali italiani : e chi ci lavora sa che cosa intendo. Tutto : maldicenze ; invidie ; assurde gelosie. La difficoltà di capire e comprendere se davvero facevamo del bene a questi ragazzi era troppa, e l’assurdità di tante situazioni e lo spreco che vedevamo intorno a noi ci annichilivano. Dopo pochi mesi avevo perduto lo spirito incantato con il quale mi muovevo ; ma avevo chiaro, su tutto, la strepitosa casualità della vita : a seconda del luogo di nascita si è fra coloro che vivono o fra coloro che sopravvivono. E piu’ tardi, nelle mie due vere esperienze di aiuto all’estero ( in Bolivia ed in Pakistan, ospite di colleghi impegnati in due serissime ONG) lo avrei capito ancor meglio, considerando gli egiziani fortunati rispetto ai minatori boliviani di stagno che guadagnano due dollari al giorno.(ore di lavoro : 10. Condizioni : disumane). Io non sono davvero diventato un missionario ma ho capito che questa gente meriterebbe più aiuto ; un aiuto vero. Io non ho più saputo nulla sulla fine del progetto di rianimazione all’ex ospedale italiano del Cairo.

Quando nel 1996 sono tornato, da turista, in quel luogo....disagiato ( !) non ho voluto vedere l’Ospedale, non ho voluto controllare quanto era finito nella polvere che tutto avvolge ; quante possibilità erano state bruciate. I miei amici locali- con Ashraf ci scrivemmo fino al 1992- mi avevano detto che, partiti noi, tutto era stato più o meno modificato e in parte sbaraccato.

Non a caso nel turbine di Tangentopoli la Cooperazione Italiana per i paesi in Via di Sviluppo venne indagata a fondo : strade in Somalia che non andavano da nessuna parte ; strutture sanitarie abbandonate ed assurde in giro per il mondo. Anche la missione egiziana venne certamente sottoposta ad accurate indagini ; da allora sono praticamente solo le ONG a rappresentare quasi sempre con maggior efficacia lo sforzo italiano nel mondo, uno sforzo che c’è e che vede tante persone coinvolte con serietà. Ma i programmi vanno preparati prima a tavolino non con l’arroganza e l’ignoranza dei potenti, dei politici e dei burocrati ; ma con la competenza e la passione dei tecnici : cosa può esserci di più allucinante di un programma di donazione del sangue in un luogo dove il sangue per Legge si vende, e ciò è spesso la sola fonte di reddito ?

Comunque io sono in debito verso gli egiziani, prima di tutto, che mi hanno aperto i loro cuori e le loro case ; ho vissuto il Cairo- e l’Egitto- da residente e ciò è stato indimenticabile. Ho svolto con onestà intellettuale il mio compito ma credo che tutto sia stato uno spreco di risorse che potevano esser gestite meglio, a solo beneficio della Sanità egiziana. Ho, soprattutto, aperto la mia mente e la mia anima al nuovo e al diverso. Questo è stato lo stipendio più bello che abbia mai avuto.

Francesco Falli, la Spezia


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