L'Infermiere espatriato nei Paesi in via di sviluppo: Cosmopolita critico ed illustre sconosciuto

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RISULTATI DELLA RICERCA

 

L'infermiere Cosmopolita: un illustre sconosciuto

Negli anni novanta, un'indagine CENSIS sull'infermiere, "Ruolo professionale ed evoluzione del sistema sanitario", ne individuò tre tipologie: i professionisti consapevoli, gli altruisti emotivi e gli insoddisfatti (29) Per ognuna di queste tipologie furono considerate una serie di variabili (significato della professione, motivo della scelta, stato civile, sesso, età, titolo di studio, orientamento religioso) per definirne il carattere specifico. Stando a queste variabili (molto simili a quelle considerate nel presente studio) e considerate le informazioni derivanti dalla presente ricerca, l'infermiere espatriato nei Pvs rappresenta, a nostro avviso, un'ulteriore tipologia di professionista che, per le sue caratteristiche essenziali, potrebbe essere definita come quella dell' infermiere cosmopolita, tuttora illustre sconosciuto. Volendone dare una definizione, potremmo affermare che l'infermiere cosmopolita, riconoscendosi come cittadino e professionista del mondo, rappresenta una tipologia di infermiere che si interroga continuamente circa la sua condizione professionale, umana, sociale e motivazionale, cercando di individuare, distinguere ed ascoltare i bisogni ed i diritti fondamentali dell'uomo planetario, che egli riconosce come il nucleo del suo interesse esistenziale, prescindendo da ogni criterio di appartenenza. Lungi dal considerarsi il modello ideale di infermiere, il cosmopolita dà un significato alla professione infermieristica che comprende ciò che è ritenuto tale, sia dal professionista consapevole (promozione del benessere collettivo ed individuale, autorealizzazione professionale e sociale), sia dall'altruista emotivo (dedizione e relazione di aiuto), mentre si discosta notevolmente dal significato che la terza tipologia di infermiere individuata dal rapporto Censis, gli insoddisfatti, attribuisce alla professione infermieristica (un lavoro come tanti e poco gratificante). Tuttavia, l'infermiere cosmopolita, pur avendo un volto definito ed un ambito di intervento specifico, tuttora è un illustre sconosciuto,poiché dagli strumenti tipici della riflessione pubblica (letteratura specifica, conferenze, dibattiti e pubblicazioni) non emerge alcuna informazione coerente e minimamente strutturata. Inoltre, sia il Ministero degli Affari Esteri, sia la quasi totalità delle Ong contattate mostrano una palese difficoltà nel fornire informazioni precise sul contributo infermieristico nell'ambito della cooperazione italiana sebbene qualcuno ci ricordi che: "Gli infermieri costituiscono una parte consistente dei volontari che lavorano per noi, ancor più dei medici (...) Nel 1994 sono stati in 45 a partire per le missioni internazionali, e per lo più infermieri" (30).  La scarsa visibilità infermieristica, stando alla progressiva e drastica riduzione dei fondi destinati alla cooperazione negli ultimi anni, (31) rischia addirittura di evolvere in un totale e drammatico oscuramento. Nonostante siano in pochi ad esserne a conoscenza, circa dodici anni fa si è tenuto a Roma, presso l'Istituto Superiore di Sanità il I Seminario Nazionale su Insegnamento e Professione Infermieristica nel Quadro della Cooperazione Internazionale. (32) Questo primo seminario si proponeva l'obiettivo di porre a confronto la dimensione infermieristica con le dinamiche insite nel rapporto culturale tra l'Italia ed i Pvs. A questo incontro parteciparono circa 80 operateti del settore (infermieri, medici, cooperanti ed altri volontari impegnati nella cooperazione allo sviluppo). Un articolo, pubblicato qualche mese dopo e riferito  a tale esperienza, propose numerose e stimolanti riflessioni sulla specificità del contributo infermieristico di cooperazione, ribadendo, inoltre, la natura di quest'ultima: "La cooperazione non è solo un intervento tecnico in un paese che ha bisogno, ma una cultura del vivere nel sistema mondo ed imparare a leggere i problemi alla luce delle logiche generali che li regolano" (33) Altrettanto interessanti furono le numerose riflessioni circa i temi di fondo e gli aspetti essenziali che tuttora caratterizzano la cooperazione intemazionale (atteggiamento e metodo di lavoro nei Pvs, centralità dell'individuo e della comunità, comunicazione delle singole esperienze e riflessione). Questo primo seminario fu dunque un'ulteriore opportunità per ribadire l'importanza di una metodologia di intervento non esclusivamente tecnica, bensì attenta alle realtà locali, in modo da comprendere le più latenti interconnessioni tra lo stato sociale di un individuo e/o di una popolazione ed il relativo bisogno di salute. Come accaduto in altre occasioni, anche in questa furono ribaditi i limiti insiti nella logica del fare e l'impellente necessità di un'ampia riflessione sugli interventi passati: "Non è un caso che ben raramente si siano sviluppati nell'ambito della cooperazione, e ancor meno nel contesto infermieristico, lavori di rielaborazione sistematica delle esperienze, con il risultato di una situazione nella quale ognuno è il più delle volte costretto a ricominciare da capo"(34) Di notevole interesse, infine, risultano Le linee di azione generale e le proposte presentate successivamente al primo seminario e concepite con la finalità di ottimizzare sia l'intervento di cooperazione sanitaria, sia la formazione degli infermieri destinati ad intervenire nei Pvs. Purtroppo, ancora una volta, una notevole elucubrazione avviata in sede assembleare non ha trovato una traduzione nella pratica quotidiana, ed ancora oggi, dopo circa tredici anni, rappresenta una debole prospettiva futura. Per comprendere le dimensioni dell'intervento infermieristico nell'ambito della cooperazione sanitaria italiana è necessario, prima di ogni altra cosa, conoscere e valutare le condizioni socioeconomiche dei paesi in cui tali interventi si realizzano, poiché è innegabile la relazione tra il bisogno di assistenza e le condizioni di vita. Siffatta relazione è stata più volte affermata dalle numerose ed autorevoli dichiarazioni internazionali che hanno caratterizzato gli ultimi cinquant'anni di storia. Pertanto, non dovrebbe sorprenderci la vastità dell'intervento infermieristico nel settore della cooperazione sanitaria italiana, poiché individuare i legami, spesso subdoli, tra le leggi di mercato, gli interessi intemazionali e la salute pubblica, oltre ad essere funzionale al ruolo proprio dell'infermiere (indipendentemente dal contesto in cui opera), e l'unico sistema che consente di interrompere quel circolo vizioso in cui le cause e gli effetti si susseguono all'infinito, accrescendo gli interessi di pochi e le sofferenze di tanti: 'Quello che deve essere chiaro è che un infermiere espatriato non è mai esclusivamente tale. In altre parole, la contingenza ti porta ad occuparti di un'infinità di cose non sempre serettamente collegate alla tua professione, ma che comunque sono in relazione con essa". (35)   Questa testimonianza, unitamente a tutte quelle altrettanto meritevoli di citazione, rappresenta una chiara traduzione pratica dei suggerimenti offerti dall'OMS in occasione della prima Conferenza Internazionale per la promozione della salute: "In materia di salute, le condizioni e le risorse preliminari sono: la pace, un tetto, il nutrimento e un reddito. Ogni miglioramento del livello di salute è necessariamente e solidamente legato a questi elementi di base"(36) Le motivazioni che giustificano la vastità dell'intervento infermieristico di cooperazione certamente non sono esclusivo patrimonio degli operatori sanitari che agiscono in questo specifico ambito, poiché in ogni contesto vi sono fattori e/o ambiti che, pur non essendo di natura prettamente sanitaria, condizionano pesantemente il livello di salute degli individui. Tuttavia riteniamo che l'agire degli infermieri cooperanti e/o volontari sia maggiormente vincolato da questo ampio spettro di motivazioni, poiché il loro intervento si articola in territori dove il disagio e la precarietà sono all'ordine del giorno e determinano situazioni di estrema emergenza, per nulla comparabili con quanto avviene nei cosiddetti Paesi industrializzati. Purtroppo, nonostante una tale priorità sia da sempre nota a tutti, bisogna riconoscere che fino ad oggi inestimabili patrimoni sono stati investiti per arginare le infinite e letali conseguenze di eventi perlopiù prevenibili. Salvo che non si voglia continuare in eterno ad inseguire gli effetti della negligenza, urge la necessità di un impegno professionale, umano e politico finalizzato, soprattutto, ad una chiara ed universale opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, magari a partire dagli interventi più elementari: cominciare a discutere, nelle scuole, nelle Università e nei principali ambiti pubblici, della distribuzione mondiale della salute e dei suoi principali determinanti (istruzione, lavoro, risorse tecniche ed alimentari, diritti civili, servizi sanitari, ed altro ancora) non ci sembra un'utopia, ne un opera così difficile da realizzare. In tal senso un infermiere, in quanto operatore sanitario, ha un ruolo e, soprattutto, una responsabilità fondamentale tanto negazione quanto nell'omissione.

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29 Anello S., "Da vocazione a professione", in Panorama della Sanità, 39/95.

30 Mauti M., "Il volontariato che supera le frontiere arruola in prima fila anche l'infermiere", in L'infermiere, 5/94.

31 D'Aria I., "La Sanità in trincea", in Panorama della Sanità, 35/98

32 Comitato di Redazione, (a cura di) "Insegnamento e Professione Infermieristica nel quadro della Cooperazione Intemazionale", in Rivista dell'Infermiere, 1/86.

33 Ibidem.

34 Ibidem.

35 Cfr. intervista a S. & G. V.

36 Modolo M., Educazione Sanitaria e promozione della salute. Resini, Firenze, 1989.