NELLA CITTA' DI ERECH
di Alex Malega
Ci sono libri e libri. Ci sono libri che annoiano. Libri che
mettiamo da parte sperando di leggerli un giorno, sapendo gia' che, per un
motivo o per un altro, non leggeremo mai. Libri che vorremmo leggere, ma che non
possiamo comprare perche' costano troppo. Libri che tradiscono le nostre
aspettative. Libri che ci appassionano al tal punto da dimenticarci del mondo.
Libri che si prestano ad essere letti in poche ore perche' hanno il dono di
trascinarci in un vortice di sensazioni piacevoli. La lettura,in questo caso,
diventa un'avventura intellettuale.
Un libro che mi ha appassionato dalla
prima all'ultima pagina e' "Nella citta' di Erech".
Edizione Sensibili alle foglie,di Nicola Valentino e Renato Curcio. Di
che cosa tratta il libro? Tratta dei dispostivi e dei i modelli concettuali che
fondano le istituzioni e quelli che le persone instaurano in relazione ad esse.
Vengono esplorati i nessi tra le istituzioni ordinarie
(scuola-famiglia-sanita',ecc.) e i dispositivi mortificanti all'opera nelle
istituzioni totali (carceri, manicomi, campi di concentramnto), qui usati come
analizzatori. Gli autori affrontano il nodo della dissociazione identitaria e
delle sue fenomenologie ed esplorano il malessere della normalita'; quel
malessere di cui "tutti in varia misura soffriamo e a cui tutti,in
vario modo, cerchiamo di porre rimedio".
Perche' il libro s'intitola
"Nella citta' di Erech?" E che cosa rappresenta? Erech e' una citta-stato sorta
in Mesopotamia nel quarto millennio avanti Cristo. Ad essa fa riferimento una
delle storie piu' antiche del mondo. Il combattimento mitologico tra il re
Gilgamesh ed il selvaggio Enkidu. Il mito rappresenta la lotta fra gli inclusi
nella citta' degli uomini e gli esclusi, collocati fuori dalle mura e dalla
specie". "Nella citta' di Erech" e' un libro speciale perche' vengono affrontati
temi a me cari. Mi soffermero' in particolare su due capitoli:
a) Le istituzioni ordinarie e le istituzioni totali.
b) Il
malessere della normalita'.
Secondo gli autori -riprendendo temi gia'
trattatati da Basaglia e Foucault - cio' che caratterizza le istituzioni e' la
divisione tra chi esercita il potere e chi invece lo subisce. La divisione dei
ruoli e' netta, precisa. La violenza e' la caratteristica principale delle
istituzioni. Trascrivo per intero cio' che e' scritto a pagina 21 "Divisione
dei ruoli, esercizio del potere, la torsione della vita relazionale, la violenza
e l'esclusione sarebbero giustificati dallo scopo assegnato all'istituzione. I
luoghi dove vengono messi in pratica il trattamento disciplinare e le strategie
di controllo sono: la famiglia e la scuola:trattamento educativo.
Ospedale-ospedale psichiatrico:trattamento terapeutico. Il carcere: trattamento
risocializzante. Le istituzioni definiscono la norma e quindi il limite fra un
bene che si accoglie e un male che si rifiuta".
E' facile intuire come
le norme isituite dalle istituzioni creino la categoria degli esclusi. Chi sono
gli esclusi? Sono i diversi, i rifiuti,gli irriducibili, gli elementi di
disturbo. Ma che differenza c'e' tra le istituzioni ordinarie (famiglia
-scuola,ospedale) e le istituzioni totali? Nelle istituzioni ordinarie esiste
una dialettica tra gli attori. In esse coloro che subiscono la violenza di
coloro che esercitano il potere possono oppore "azioni avversative" alla
richiesta correzionale. Le istituzioni ordinarie, dunque, sono caratterizzate da
un certo
"grado di elasticita' e porosita'" in modo tale da non escludere un
esito trasformativo dell'azione dell' "istituente ordinario". Insomma nelle
istituzioni ordinarie sono contemplate la disobbedienza, la rivolta e azioni di
contropotere. Nelle istituzioni totali non sono ammesse "azioni avversative". Le
istituzioni totali - quali il carcere, il campo di concentramento, il maicomio
giudiziario -si basano sull'esecuzione di un potere assoluto. Potere che si
caratterizza per il controllo dello spazio, del tempo e delle relazioni degli
attori. Sono " anelastiche e non porose". La relazione tra gli attori e'
gerarchica, unidirezionale e intransitiva ad ogni dialettica ordinaria. Esse
esercitano sull'escluso una "torsione relazionale mortificante". Se questa e' la
natura delle istituzioni totali, come si giustificano all'esterno? Cioe' verso
coloro che pretenderebbe salvaguardare? Tali istituzioni agiscono "creando il
bisogno di se'". Costituendo attorno a se' un mito, tali istituzioni-che
pretenderebbero salvaguardare i cittadini dalla violenza, indicano i
valori su cui si fondano. Grazie a tale mito esse riescono a cooptare il
giudizio degli inclusi. Ma come agiscono praticamente le istituzioni sugli
individui? Se e' vero che esercitano la violenza, e' necessario sapere come
prende corpo.(tale violenza). A questo punto, e' necessario introdurre tre
concetti che spiegano bene il dispostivo e le strategie di controllo messi in
atto dalle istituzioni.
a)Il modello
trattamentale.
b)Il modello attuariale.
c)Prospettiva -bio-tecnologica del
controllo.
IL MODELLO
TRATTAMENTALE.
Trascrivo da pag.31 quanto segue: "L'azione trattamentale
opera per indurre una forte interiorizzazione del mito identitario,dei
valori,dei modelli di significato,riferibili alla normalita'".
Essa si
considera ben riuscita quando il controllato si e' trasformato in un controllore
di se stesso. Chi non si conforma ai codici stabiliti dall'istituzione, subisce
una penalizzazione: stigmatizzazione-esclusione. Le istituzioni che agiscono
nella direzione di normare i comportamenti degli individui sono: la famiglia- la
scuola - il carcere - l'ospedale giudiziario - centri di peramanenza temporanea
per stranieri irregolari - campi nomadi.
Il MODELLO ATTUARIALE.
Rispetto al modello trattamentale, che ha funzione di controllo e di repressione, il modello attuariale "sposta l'attenzione dai soggetti singoli alle categorie di soggetti classificando queste ultime secondo le potenzialita' di rischio che vengono ad esse attribuite". Il modello attuariale non si fonda sul reato, ma sulla presunta pericolosita' di categorie di soggetti. Cio' sta a significare che una categoria di persone viene considerata pericolosa per la sicurezza e l'ordine pubblici senza che questa abbia commesso alcunche'. E' facile comprendere come migliaia di persone-extracomunitari-rom-ecc... possano trovarsi da un giorno all'altro in uno spazio fortificato. Il termine attuariale, come spiegano gli autori, richiama la matematica applicata alle assicurazioni. Dal punto di vista della logica assicurativa esiste un complesso di " fattori di rischio ineliminabili che sono distribuiti casualmente nell'ambito di una collettivita' e che sono direttamente riferibili a singoli soggetti, se non in quanto questi rientrino in gruppi determinati e qualificati in base a maggiori o minori tassi di rischiosita'. Il dispostivo del controllo sociale-penale diventa preventivo e probabilistico.
LA PROSPETTIVA BIO-TECONOLOGICA DEL CONTROLLO.
Non e' difficile immaginare come -a medio e a lungo termine - l'ingegneria genetica possa essere utilizzata dai guardiani del potere come dispositivo di controllo degli individui. C'e' chi ritiene auspicabile la programmazione di individui "destinati a svolgere ruoli di subalterni-schiavi,o la riprogrammazione di individui il cui comportamento sia ritenuto criminale da chi controlla la matassa dei poteri". Secondo gli autori, le bioteconologie potrebbero riuscire la' dove le altre due hanno fallito: e cioe' il controllo totalitario sugli individui. A differenza dei dei due precedenti dispositivi di controllo- il trattamento repressivo e quello attuariale - le biotecnologie potrebbero esercitarsi ad eliminare " l'esterno". Non ci sarebbe piu' la divisione tra esclusi ed inclusi, poiche' tutti gli individui rientrebbero sotto lo sguardo panoptico del potere. Nessuno libero. Tutti schiavi. Tale prospettiva mi riporta al bellissimo romanzo di Zamjatin " Noi". Un futuro non certo esaltante per coloro che amano la liberta'.
Pagina pubblicata il 01/07/01